Politica ed Economia: un futuro remoto

Incertezza generalizzata e sistemi di regolazioni socio economici alle corde alimentano una crisi della rappresentanza politica. Nazionalisti e populisti al Governo sono una minaccia alla stabilità. L’Europa si allontana mentre la prospettiva del cambiamento si logora rapidamente a fronte dell’incompetenza e dell’improvvisazione dei nuovi politici. Le alternative paiono non esservi e le prospettive sono poco incoraggianti. Una nuova stagione di crisi potrebbe aggravare la situazione.

Politica ed Economia globale. Dove stiamo andando?

Politica ed economia globale: viviamo momenti di grande incertezza e il primo errore sarebbe credere che questa situazione riguardi solo o soprattutto noi italiani. Basta guardare che cosa sta succedendo in Francia e – per altri versi – in Gran Bretagna o che cosa è accaduto lo scorso anno fra Catalogna e Spagna. Se poi ci spingiamo oltre l’orizzonte europeo, Turchia Venezuela e Medio Oriente sono altri esempi eloquenti di un malessere diffuso e sempre più intessuto di violenza.

Perché accade tutto questo?

Io credo che, in senso lato, questo sia il prezzo politico della globalizzazione. Cerco di spiegarmi meglio. Quando esistevano i blocchi e la sovranità nazionale pesava, i conflitti avevano natura endogena, si sviluppavano cioè all’interno delle comunità nazionali e avevano un prevalente connotato di classe. In Italia questo fenomeno è stato particolarmente acuto e duraturo fino a degenerare in forme criminali di conflitto. Altrove, ad esempio in Francia e Germania, tali fenomeni si sono sviluppati con declinazioni differenti, più legate a forme di insubordinazione del costume e della cultura, come nel caso maggio francese.

Questo per dire che esistevano valvole più o meno lecite di decompressione dei conflitti sociali e meccanismi economici- come la scala mobile, rivelatosi poi pernicioso – che consentivano di fare concessioni importanti nei momenti di emergenza ma poi riassorbibili, attraverso l’inflazione e la svalutazione. Non sono certo meccanismi da rimpiangere, ma in quei contesti erano aggiustamenti, se vogliamo, indolori e relativamente efficaci.

Oggi, e torno al tema della globalizzazione, credo che vi sia una sorta di allineamento strisciante a svantaggio dei Paesi Occidentali. Mentre la Cina, l’India, il Sud Est asiatico crescono intensamente per lunghi periodi noi cresciamo poco e per periodi brevi ai quali alterniamo lunghe fasi di crisi, talvolta acuta. E’ come mettere a confronto la vitalità di un giovane e di un vecchio. E’ ovvio che questo differenziale ci danneggia e produce, nei Paesi occidentali un numero crescente di cittadini svantaggiati, con meno servizi sociali e più poveri in quanto, compressi dal confronto competitivo, non più in grado di conseguire aumenti salariali significativi.

 

Di chi sono le Responsabilità? Forse la vecchia politica…

Insomma meno tutelati, più marginali, più soli e più sfiduciati. Da questo cocktail nasce il risentimento sociale che oggi è diventato evidente con il voto populista in Italia e, ad esempio, con i gilet jeaune in Francia. Mi sono sempre sorpreso del fatto che durante gli anni più duri dell’ultimo ciclo di crisi, tra il 2008 e il 2014, non si siano sviluppate forme di contestazione di piazza, violente. Le ragioni sono molteplici; in primo luogo, la sinistra al Governo, poi la tutela rappresentata dal lavoro a reddito fisso e – in aiuto – i bassi tassi di interesse.

Infatti in piazza ci erano andati i “Forconi”, in prevalenza venditori ambulati, un mestiere che sino a 10 anni prima appariva come una valida alternativa ad un impiego di routine. Ma non avevo colto, quanto il fenomeno fosse più generale e consistente; la contestazione covava sotto la cenere, semplicemente in diverso modo, canalizzandosi in modo prevalente – grazie anche all’uso “intelligente “dei social – verso il M5S nel quale, da principio, è confluito anche una buona porzione di ceto medio, colto e di sinistra.

Se è vero che il M5S è nato dai Vaffa Day sarebbe un grave errore non riconoscere che fra le sue molte ed eterogenee componenti vi sono anche numerosi sostenitori della sinistra, che si sono sentiti traditi dalle politiche neo liberali, impoveriti e rancorosi verso il sistema di potere. Il M5S ha offerto loro lo sfogo a questo senso di impotenza, in un circuito socio economico che ne offriva pochi altri: perciò ha avuto successo, perché ha saputo intercettare e canalizzare il malcontento.

Credo quindi che la sinistra abbia una responsabilità politica specifica rispetto alla situazione attuale. Una responsabilità la cui dimensione si può cogliere forse solo ora, in questa fase di disfacimento. In particolare ha responsabilità sul tema dell’immigrazione dove ha preferito imboccare la strada del buonismo, poi della convenienza – facendola gestire ad Alfano – e da ultimo, quando era ormai troppo tardi, quella del rigore con Minniti. E’ una vicenda paradigmatica delle contraddizioni che albergano in questa composita area politica di cui è venuta meno l’identità sociale.

Il Pd paga il fatto di aver scritto le finanziarie sotto dettatura della Confindustria, di aver fatto pappa e ciccia con le banche, paga l’arroganza mediatica del suo ex leader ormai politicamente evaporato dopo il clamoroso errore di personalizzazione sul referendum, degno di un adolescente con problemi di autostima. Del pari ha una responsabilità specifica l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, sospendendo l’esercizio democratico in favore di Governi tecnici – più che mai necessari in quei momenti – non ha che contribuito a “caricare la molla” del risentimento sociale e della riappropriazione.

 

Politica fra populismo e nazionalismo a “la carte”

Da qui sono scaturiti gli esiti politici, la maggioranza e il Governo che guidano il Paese. Non ci sono affatto estranei, come qualche ben pensante vorrebbe far credere. Al contrario ci appartengono, culturalmente e, ancor più, visceralmente. Noi italiani siamo un popolo polemico, fazioso che ama le battaglie e gli antagonismi. E questa è, per certi versi, la storia della TAV.

Poco importa che cosa in realtà sia e a che cosa serva; la TAV è più di ogni altra cosa, nel dibattito pubblico, il simulacro, il simbolo di chi è CONTRO. Contro al sistema, ai poteri forti, agli intrallazzi, alle mafie, al partito del cemento. E’ una catarsi; andare in piazza e dire No alla TAV fa sentire giusti, migliori. Ed è cosi da una trentina di anni.

I rischi di far perdere l’opera hanno invece suscitato, ma solo negli ultimi mesi, movimenti di piazza PRO TAV con prese di posizione inaspettatamente consistenti da parte della società civile, insieme ad iniziative, consistenti, delle associazioni imprenditoriali e di parte del sindacato. Quale significato e quali prospettive possono avere tali iniziative nel contesto dell’attuale deteriorato quadro politico e sociale? (del quale ho colpevolmente omesso la profonda crisi che attanaglia anche la destra?)

Il significato mi pare per nulla chiaro. Tuttavia, il ceto medio torinese ha mostrato di non condividere l’idea del declino e, l’immobilismo della Sindaca con i suoi numerosi e reiterati fallimenti, hanno offuscato l’idea stessa del cambiamento che adesso, soprattutto a livello nazionale, fa decisamente paura. L’incoerenza e l’incompetenza del Governo spaventano, soprattutto nella prospettiva assunta di conflitto, più o meno esplicito, nei confronti dell’Europa. Adesso, c’è il timore dell’uscita dall’euro con le conseguenze devastanti che avrebbe su risparmi, valori immobiliari, tassi d’interesse, tenore di vita.

L’idea di tornare poveri non piace, a nessuno.

Non a caso, sono già in molti ad essere corsi ai ripari, portando i soldi fuori dall’Italia. Il Governo cerca di correre ai ripari salvando capra e cavoli, cioè cercando di evitare la procedura d’infrazione e senza discostarsi troppo dalle promesse fatte in campagna elettorale. Anche se questa sembra essere la via del buon senso non va dimenticato che un bel pezzo della manovra ce lo siamo già fumato solo a suon di arroganti sproloqui, non intonati alle nostre fragili condizioni. Né va trascurato il fatto che il 2019 sarà, per noi, un anno tutto in salita e che per l’esercizio successivo – il 2020 – sono già in molti, fra gli analisti, a prospettare una nuova fase di crisi che partirà dagli USA la cui crescita dura ormai da troppo tempo.

 

Quali sono le prospettive per il Paese?

Dove potrà andare il Movimento di piazza di Torino, quello delle Madamin? Non lontano a mio modo di vedere. Si dice che le moderne democrazie si conquistano dalle estreme e si governano dal centro. In questo caso al centro, a governare ci sono degli integralisti con convinzioni e retroterra culturali assai differenti, che stanno insieme non per il contratto di Governo ma per le poltrone che occupano, in attesa di vedere che cosa accadrà alle elezioni europee.

Possiamo immaginare che i movimenti civili, possano costituire una forza alternativa, di ricambio? Possiamo sperarlo, ma crederlo risulta onestamente più difficile. Possiamo ipotizzare che Salvini divenga finalmente Caino e, per tesaurizzare il suo acquisito ed irripetibile vantaggio su Di Maio lo fagociti, rientrando nei ranghi di una Forza Italia a trazione leghista? Possiamo immaginarlo, ma sperarlo è onestamente imbarazzante.

E gli imprenditori, si limiteranno a compiacersi della merce di scambio messa sul tavolo da Salvini preoccupato di perdere contatto con il Nord, proprio nelle regioni più produttive, dove governa la Lega? O daranno vita ad un loro “partito”. Se sono furbi, e lo sono, MAI. Non andranno MAI direttamente in politica.

Manca, ma perché non è nel dna socio antropologico del nostro Paese una forza politica che sia in grado di avere ampio consenso e mettere in campo politiche di sviluppo, eque e lungimiranti. Spero di sbagliarmi ma temo che il nostro Paese, diluito il collante sociale esercitato della Chiesa e con esso il correlato quarantennale predominio della DC, ed esaurite le esperienze prima di centro sinistra poi di centro destra, sia quasi pronto per una (improbabile) svolta autoritaria o più verosimilmente per una lenta deriva di tipo sud americana, nazionalista e populista.

Non sono prospettive allettanti; d’altro canto anche altrove, anche nei Paesi più stabili, i modelli di regolazione sociale e di rappresentanza politica mostrano segni di logoramento forse meno appariscenti ma, nella sostanza, non meno gravi. Di positivo c’è da dire che le previsioni son fatte per essere sbagliate.

About Giorgio Alberti

Giorgio Alberti | Responsabile Ufficio Stampa di Unione Industriale Torino, writing e rapporti con i Media, appassionato di montagna, lettura e viaggi

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