GLOBAL VALUE CHAIN E PMI

Le imprese italiane che rientrano nella definizione europea di piccole-medie imprese (PMI) sono 160 mila, impiegano tra i 10 e i 249 addetti e hanno un giro d’affari compreso tra i 2 e i 50 milioni di euro. Esse rappresentano il fulcro del sistema produttivo italiano e generano un valore aggiunto complessivo di 204 miliardi di euro. Queste cifre  ci ricordano l’importanza che le PMI rivestono per la nostra economia:   la loro efficienza e competitività è fondamentale, soprattutto in una situazione di crescente globalizzazione produttiva accompagnata da sempre maggiori incertezze nello scenario economico e geopolitico. Il presente articolo parte da una duplice lettura della PMI, che dalla gestione della propria filiera produttiva (supply chain, o SC) si espande fino a considerare la PMI stessa come parte delle cosiddette catene globali del valore (global value chain, o GVC), ovvero come componenti della globalizzazione della produzione.

SUPPLY CHAIN E GLOBAL VALUE CHAIN: DEFINIZIONI E GESTIONE


DEFINIZIONI: SUPPLY CHAIN

Per supply chain (o catena di approvvigionamento, SC) si intende una serie di processi finalizzati a portare sul mercato un prodotto o un servizio, trasferendolo dal fornitore fino al cliente. Essa viene concepita in una prospettiva operativa. Nel fare ciò si crea un flusso di materiali e informazioni tra le diverse fasi della catena.
Ogni supply chain, inoltre, può essere considerata come parte di un più ampio network, che comprende diversi soggetti e altre filiere produttive, che possono essere incidenti con quella dell’impresa stessa. E’ importante tenere in considerazione questo fattore nella gestione della propria supply chain, perché impone di considerare sia il buon funzionamento della propria filiera sia un controllo delle filiere che possono in qualche modo influenzarla.

DEFINIZIONI: VALUE CHAIN

Con value chain (o catena di valore) si intende  un processo con cui un’azienda aggiunge valore ai prodotti attraverso la produzione o altri processi coinvolti nella catena. Il concetto deriva da una prospettiva di business. L’idea di value chain è legata al principio della creazione di vantaggio competitivo, ovvero l’insieme dei fattori che permettono ad una azienda di avere una migliore performance, in termini di profittabilità o di quote di mercato, rispetto alle imprese concorrenti . Oltre alla ricerca di questo vantaggio nei classici processi di filiera, Michael Porter, economista statunitense che per primo elaborò il concetto di vantaggio competitivo, sostiene che siano necessarie delle attività di supporto, come lo sviluppo tecnologico o la gestione delle risorse umane.

DA VALUE CHAIN A GLOBAL VALUE CHAIN

La ricerca del vantaggio competitivo ha portato, soprattutto dagli anni 80 ad oggi, a globalizzare la catena del valore, frammentandola e situando ogni singola fase del processo produttivo in luoghi diversi in base al vantaggio competitivo che specifiche localizzazioni globali  potevano apportare.  Questo processo è stato agevolate anche dal boom tecnologico degli anni 80-90, che ha permesso di “imbrigliare la tirannia della distanza”, rendendo sempre più possibile considerare l’organizzazione globale dell’industria alla stregua di quella nazionale. Per questo si parla di global value chain (o catene globali del valore, GVC).

GESTIONE: SUPPLY CHAIN

La gestione della supply chain ha come scopo quello di raggiungere la maggiore qualità possibile di un prodotto finito o di un servizio proposto al consumatore finale al minor costo possibile, quindi le preoccupazioni principali oggetto del coordinamento della filiera sono il costo dei materiali e l’effettiva consegna del prodotto. L’efficienza logistica, sia di quella inbound (logistica coinvolta nel trasporto delle risorse necessarie per produrre o assemblare il bene) che di quella outbound (logistica coinvolta nell’operazione di spedizione del prodotto finito), sono parti essenziali del management della supply chain.

I PROBLEMI

La gestione della catena di approvvigionamento mira ad affrontare efficacemente alcuni dei problemi principali che le PMI devono affrontare con riferimento alle proprie SC.

  • interni:
    • alti costi dovuti all’acquisto di piccole quantità e piccole produzioni
    • basso potere negoziale con i fornitori e i clienti nella SC
    • difficoltà nel mantenere i livelli richiesti di qualità produttiva
    • forza lavoro con relativamente bassi livelli di educazione e di abilità
  • esterni:
    • regolamentazioni rigide sulla forza lavoro
    • difficile accesso alle fonti di finanziamento e all’assicurazione
    • alti costi logistici e bassa qualità delle infrastrutture e dei servizi relativi
    • corruzione e crimine
LE COMPETENZE CHIAVE

Alcune delle competenze chiave che vengono richieste per rispondere a queste sfide sono:

  • qualità: della gestione interna ed esterna della catena di approvvigionamento
  • affidabilità: consegna del prodotto e/o performance del servizio
  • responsività: velocità con cui un’attività della SC risponde alla necessità del cliente; ciò riduce i costi
  • agilità/adattabilità: si declina nella sfera del volume (quindi nel rispondere alla domanda), della varietà (sviluppare un range di beni disponibili) e nell’innovazione del prodotto
  • servizio al cliente: attrae clienti potenziali e alimenta il legame con essi
IL TRADE-OFF

Data la difficoltà o l’impossibilità di rispondere totalmente a tutte le competenze qui citate, è necessario determinare un trade-off tra le diverse opzioni, che permetta la maggiore efficienza possibile. Questo trade-off deve essere determinato in base al tipo di impresa e alla posizione che essa riveste nella supply chain. In generale, una maggiore flessibilità e un minor costo devono essere gli obiettivi principali per coloro che rivestono posizioni più alte nella SC, mentre migliori servizi al cliente e responsività sono richiesti a coloro che occupano la più bassa posizione nella SC.

GESTIONE DELLA VALUE CHAIN

Con riferimento alle Global Value Chain, invece, si parla di governance, ovvero il modo in cui viene garantito il coordinamento delle parti che risultano dal processo di frammentazione.

I MODELLI DI GOVERNANCE DELLE GLOBAL VALUE CHAIN

C’è una vasta letteratura che si pone il problema di quali elementi considerare per spiegare le scelte di frammentazione della catena produttiva. Qui ci si concentrerà, come accennato all’inizio, sul modello di Gereffi, modello elaborato da Gary Gereffi, professore universitario e direttore del Global Value Chains Center alla Duke University, negli anni 90. Gereffi adotta un approccio mirato a individuare, in una catena del valore globale, una serie di “nodi”, ovvero punti cruciali del processo produttivo, con l’intento di analizzare in che modo il controllo di questi nodi si traduca in potere e profitto, e quindi in che modo l’inserimento strategico e cosciente all’interno di una GVC permetta all’impresa  di intercettare la maggiore quota possibile di valore aggiunto prodotto dalla catena.

QUALE INTERESSE PER LE PMI?

Per le PMI avere una visione su come le GVC siano organizzate è fondamentale in quanto esse spesso partecipano alla produzione globale come aziende fornitrici di imprese maggiori (leader di filiera o capofiliera) e nel fare ciò si trovano in potenziale competizione con imprese di tutto il mondo; le imprese leader di filiera, con riferimento ai propri fornitori, hanno un orizzonte globale.

MIGLIORARE LA GESTIONE DELLA PROPRIA SUPPLY CHAIN


SUPPLY POSITIONING MODEL

Come visto precedentemente, il potere negoziale che un’impresa possiede nei confronti dei fornitori e, in generale, il rapporto che essa possiede con i propri fornitori, è un elemento centrale tra le sfide a cui una PMI è sottoposta nella gestione della propria SC.

SCOPO DEL MODELLO

Lo scopo di questo modello analitico è quello di aiutare l’impresa a identificare le priorità da accordare ai propri fornitori e la bilancia del potere (balance of power) che intercorre tra essa e i suoi suppliers, adottando un approccio che tenga conto dell’importanza che la fornitura di una risorsa riveste per la propria attività (quindi, analogamente, gli eventuali rischi che la scarsità di queste risorse creano) e la spesa annuale per l’acquisto di queste risorse (ovvero, analogamente, l’impatto sui profitti dell’impresa).

Sotto è mostrata la versione grafica del modello.

LEGGERE IL MODELLO: LATO IMPRESA

I quattro quadranti mostrano il diverso peso che le risorse rappresentano per l’impresa e le caratteristiche che possiedono:

  • risorse di routine – bassa spesa / basso rischio: beni altamente standardizzati e con grande disponibilità sul mercato;
  • risorse di leveraggio –  alta spesa / basso rischio: beni standardizzati, con disponibilità di diversi fornitori, ma di alta spesa;
  • risorse “collo di bottiglia” –  bassa spesa / alto rischio: beni specializzati, strategici, con minore disponibilità di fornitori, a basso costo;
  • risorse critiche – alta spesa / alto rischio beni specializzati, strategici, con un numero fortemente limitato di fornitori e che presentano alti costi.
LATO FORNITORE

Per un’analisi completa bisogna anche considerare il punto di vista del fornitore, per capire effettivamente quanto l’impresa possa per lui essere o meno attrattiva:

  • risorse di routine: poca attrattività per i fornitori perché alta concorrenza e bassa profittabilità;
  • risorse di leveraggio: attrattività data dall’alta profittabilità ma alta concorrenza essendo il bene standardizzato;
  • risorse “collo di bottiglia”: bassa attrattività per il fornitore perché bassa profittabilità;
  • risorse critiche: alta attrattività data dall’alta profittabilità e dalla scarsa concorrenza.
MATRICE IMPRESA – FORNITORE

Unendo i due punti di vista, quello del fornitore e quello dell’impresa, è possibile individuare una matrice che ci consente di analizzare la bilancia del potere (o balance of power) contrattuale tra compratore e fornitore:

  • risorse di routine: fornitori e compratori indipendenti;
  • risorse di leveraggio: il compratore ha potere di leveraggio, in quanto la fornitura della risorsa non è cruciale per lui ma genera alto profitto per il venditore;
  • risorse “collo di bottiglia”: il fornitore ha il potere di leveraggio, in quanto la fornitura della risorsa è cruciale per il compratore ma genera basso profitto per il venditore;
  • risorse critiche: fornitori e compratori sono interdipendenti.

IL  MONITORAGGIO DELLO STOCK

Il modello permette anche di elaborare strategie in funzione dello stock delle risorse e del monitoraggio dell’inventario:

  • risorse di routine: livello di stock molto alto / livello di monitoraggio molto basso;
  • risorse di leveraggio: livello di stock molto basso / livello di monitoraggio molto alto;
  • risorse “collo di bottiglia”: livello di stock molto alto / livello di monitoraggio alto;
  • risorse critiche: livello di stock alto / livello di monitoraggio molto alto.

Di seguito una tabella riassuntiva.

STRATEGIE DI PURCHASING & SUPPLY

Il quadro qui delineato porta quindi all’elaborazione di alcune strategie di Purchasing & Supply che possono essere adottate dall’impresa per rendere più efficiente la fase di approvvigionamento delle risorse:

  • risorse di routine:
    • minimizzare tempo e sforzi per l’approvvigionamento; pensare ad automatizzare il processo
    • concentrarsi su solo uno o due fornitori che rendano un buon servizio
  • risorse di leveraggio:
    • sfruttare il potere di leveraggio per minimizzare i costi
    • elaborare strategie di target pricing
  • risorse “collo di bottiglia”:
    • fare affari con un fornitore ma assicurarsi di avere una riserva
    • investire tempo nel cercare fonti di approvvigionamento sempre più affidabili
    • investire in innovazione e in product substitution così da ampliare le possibilità di rimpiazzare la risorsa
  • risorse critiche:
    • identificare i fornitori migliori nel lungo periodo
    • sviluppare ottime relazioni con i fornitori e formare partnership con essi.

 

COMPRENDERE IL PROPRIO RUOLO NELLE GLOBAL VALUE CHAINS


MODELLO DI GEREFFI

Come detto all’inizio, una PMI è parte di una SC ma questa, a suo volta, può fare parte di una GVC, spesso in qualità di fornitrice. Per comprendere come una PMI possa acquisire una quota sempre maggiore di questo valore aggiunto è necessario analizzare la struttura della governance della GVC.

SCOPO DEL MODELLO

Il modello qui discusso permette di identificare i diversi nodi del processo produttivo, così da capire la propria  collocazione nella catena e di identificare i rapporti di forza, nello specifico tra compratore e venditore, ovvero tra impresa capofiliera  e fornitori.
Il modello  individua, in primis, 4 nodi, che corrispondono ai punti cruciali del processo produttivo:
– approvvigionamento delle materie prime;
– produzione;
– esportazione;
– commercializzazione.
Il potere all’interno della catena deriva dal controllo di questi nodi: a seconda dei casi abbiamo catene dominate dal compratore o catene dominate dal venditore.

I 5 TIPI DI GVC

Secondo Gereffi, esistono 5 tipi di Global Value Chain, con rapporti di potere interni dipendenti da tre variabili:

  • complessità delle transazioni interaziendali (C)
  • grado con cui la complessità può essere ridotta tramite processi di standardizzazione (S)
  • capacità dei fornitori di soddisfare la richiesta dei produttori (F)

In base a ciò, i 5 tipi di Global Value Chain  individuate da Gereffi sono:

  • Rapporti di mercato: C bassa, S molto elevata, F elevata. Abbiamo moduli altamente codificabili, transazioni non complesse e fornitori capaci, quindi il compratore può scegliere tra diversi fornitori.
  • Catene modulari: C elevata, S elevata, F elevata. Abbiamo fornitori che realizzano prodotti in base a moduli altamente codificabili. Un esempio  è il settore della componentistica elettronica.
  • Catene relazionali: C elevata, S bassa e F molto elevata. Essendo il bene non standardizzato e le transazioni complesse, si ha spesso uno scambio reciproco di conoscenze e, di conseguenza, una dipendenza reciproca tra le imprese. Caso tipico l’aerospazio.
  • Catene vincolate: C elevata, S elevata, F basso. Il compratore, qui, vincola il fornitore perché quest’ultimo ha scarse capacità di rispondere alle sue esigenze, fornendogli le capacità per operare. Per evitare che altri clienti possano beneficiare di queste capacità, l’impresa capofiliera tenderà a bloccare il fornitore in una relazione “vincolata”, all’interno della quale l’impresa fornitrice rimarrà dipendente dal cliente.
  • Coordinamento gerarchico: C elevata, S bassa, F bassa. Non ci sono fornitori che siano in grado di realizzare il prodotto richiesto e la codificabilità di esso è bassa, perciò il capofiliera dovrà lavorare al suo interno creando una filiale, quindi creando una fornitura “in casa”.

Di seguito una tabella riassuntiva.

COME LEGGERE IL MODELLO

Individuare a quale delle tre caratteristiche il proprio prodotto (e la propria attività) risponde permette di comprendere il proprio potere all’interno della Global Value Chain, oltre che le eventuali opportunità che offerte dalla Global Value Chain. E’ possibile così valutare di orientare la propria produzione laddove ci sia la maggiore possibilità di leveraggio e di massimizzare la propria competitività e potere. Questo fenomeno viene definito upgrading, ovvero la cattura di una parte della catena del valore in cui si concentrano attività con un più alto valore aggiunto.

QUALI CONCLUSIONI TRARRE?


I modelli qui forniti offrono una spiegazione lineare e immediatamente sfruttabile, adattandola alla propria attività, delle principali criticità e opportunità relative alla gestione della propria catena di approvvigionamento, oltre che una visione d’insieme sul ruolo che la propria impresa può rivestire quando ci si interroga sulle dinamiche della produzione globalizzata.

PAROLE CHIAVE: EFFICIENZA E UPGRADING

Una gestione efficiente della propria filiera è funzionale in primis a minimizzare i costi massimizzando i benefici, in termini di qualità di fornitura di un bene o di un servizio oltre che di adattabilità e responsività alle oscillazioni del mercato. Nell’ottica della partecipazione ad una Global Value Chain, invece, essa permette di aumentare la possibilità di comprendere i nodi della produzione nei quali la propria attività può inserirsi per “catturare” la maggiore quantità di valore aggiunto prodotto dalla catena stessa, grazie al flusso di informazioni che una corretta gestione della catena di forniture genera, ovvero di fare un’azione di upgrading. Questo obiettivo può essere raggiunto ad esempio ampliando la gamma delle funzioni svolte dall’impresa, aumentando la complessità del prodotto o migliorando la tecnologia impiegata nel processo produttivo: sono tutti interventi che richiedono una gestione efficace della propria filiera.

CAPIRE I PROPRI PUNTI DI FORZA 

Ragionare, inoltre, sulla propria supply chain dà la possibilità di individuare quali siano gli aspetti principali che stanno alla base della propria capacità di fornire beni in maniera competitiva rispetto ad altre imprese concorrenti. Ciò si traduce in un ulteriore vantaggio competitivo quando ci si riferisce alla propria partecipazione alle catene globali del valore: qualsiasi fattore che renda più difficile per un cliente passare da un fornitore all’altro incrementerà il potere del fornitore nella governance della catena. Per esempio, un’impresa che basa il proprio vantaggio competitivo sui bassi salari è obbligata a mirare costantemente a ribassare i propri salari per mantenere questo vantaggio, ma ciò è insostenibile nel lungo periodo Un’impresa invece che basa il proprio vantaggio competitivo sulla qualità del prodotto in termini di progettazione o di produzione , invece, potrà preservare il proprio vantaggio più efficacemente, e rendere più difficile per l’impresa capofiliera avere potere di leveraggio.

RIPENSARE (CRITICAMENTE) ALLA GLOBALIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE E ALLE GLOBAL VALUE CHAIN

Quest’ultima osservazione è importante perché spesso si pensa che l’unico driver che le imprese transnazionali (TNC) considerino nel frammentare la propria produzione sia il basso costo della manodopera e che, quindi, paesi che presentino questa caratteristica siano naturalmente avvantaggiati. In realtà non esistono verità assolute.  TNC operanti in diversi settori sono alla ricerca di capacità e caratteristiche specifiche, come una manodopera particolarmente qualificata nel caso di imprese operanti in settori ad alto livello tecnologico, oppure creatività e alta personalizzazione del prodotto.

In conclusione, quindi, possiamo affermare che la capacità dell’impresa di gestire la propria supply chain e di considerare il più ampio network nel quale si trova (o nel quale potrebbe inserirsi) è cruciale per migliorare la  competitività e i  profitti. L’orizzonte da considerare non può più essere solo quello nazionale ma è sempre più importante pensare in un’ottica globale.

 

Questo post è stato redatto da Debora Ramazzina, studentessa del corso di laurea magistrale in Scienze Internazionali – China and Global Studies – presso l’Università di Torino, nell’ambito di uno stage presso l’Ufficio Studi Economici dell’Unione Industriali. Ecco come si presenta.

Sono Debora Ramazzina, studentessa della magistrale di scienze internazionali all’Università di Torino. Dopo una laurea triennale in relazioni internazionali, ho deciso di proseguire con gli studi internazionalistici, orientando il mio percorso verso uno studio approfondito della sfera politico-economica-sociale dell’Asia orientale e meridionale e dell’inserimento di questa nel più ampio scenario globale. Credo fortemente negli studi intrapresi perché penso che mi abbiano permesso di forgiare il senso critico e di costruire le competenze relative alla gestione delle dinamiche inter-culturali, oltre che insegnarmi a gestire le continue intersezioni tra livello macro e livello micro, il che è fondamentale per avere maggiore contezza del quadro in cui agire allo scopo di rispondere al meglio alle sfide della quotidianità.

Ponendosi, quindi, questi studi come un “ponte” tra diverse realtà, visioni, livelli, il mio interesse principale è rivolto proprio a connettere la sfera degli insegnamenti accademici con le necessità concrete di tutti coloro che avranno bisogno di interfacciarsi a mondi culturali, economici, sociali e politici, specifici e con le proprie peculiarità. A tal proposito reputo che il periodo di tirocinio svolto all’Unione Industriali abbia rappresentato un passo importante verso il raggiungimento di tale obiettivo, avendomi tra l’altro dato l’opportunità di entrare in contatto con le imprese del territorio e con le loro realtà: è proprio da ciò che è nata l’idea per l’articolo qui presentato.

 

 

 

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