Artico: sempre meno ai confini del mondo?

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Inquinamento e innalzamento delle temperature stanno provocando la dissoluzione irreversibile di grandi porzioni di ghiacci dell’Artico. Una regione fino a oggi  quasi inaccessibile offre nuove opportunità di sviluppo economico e commerciale. Le risorse minerarie sono enormi; le rotte artiche possono diventare un’alternativa più breve a Panama e Suez. Le grandi potenze si stanno muovendo. La Russia parte in posizione di vantaggio, ma la Cina non sta a guardare. Gli Stati Uniti sono guardinghi. L’Europa non ha una strategia. Nello scontro tra gli interessi nazionali riuscirà a sopravvivere una parvenza di multilateralismo?

Artico: dove Europa e America si incontrano  

L’Artico è una vasta regione che si trova nella parte più settentrionale del nostro pianeta. Nell’Artico è compreso il bacino dell’Oceano Artico,  contiguo alle regioni più a nord della Russia, degli USA (Alaska), della Groenlandia e della Scandinavia. È accessibile tramite lo stretto di Bering, situato tra l’Alaska e le coste russe. L’Artico è la regione più fredda del globo e, in inverno, rimane per lo più inaccessibile. Rappresenta, però, un punto fondamentale di equilibrio climatico grazie alla solidificazione delle sue acque marine. Il sole sorge e tramonta una volta all’anno, quindi per circa 6 mesi c’è continuità di luce, a cui fanno seguito 6 mesi di buio totale.

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I minerali dell’Artico

L’Artico sta assumendo una valenza strategica per due motivi principali: le ricche risorse minerarie e le possibili nuove rotte.
Lo scioglimento dei ghiacci determinerà un accesso più semplice alle riserve minerarie dell’Artico. Nell’arcipelago delle Svalbard è presente la miniera di carbone più a nord del pianeta, nonché depositi di bauxite, nichel, palladio e fosfato. Dal circolo polare artico, la Russia riesce ad estrarre circa il 90% dei suoi depositi di cobalto, un metallo decisivo per la svolta ecologica di molti paesi. La regione è enormemente ambita anche per la presenza di rame. Inoltre, si stima che circa un quarto dei depositi naturali di gas e petrolio si trovino nei fondali dell’Oceano Artico, anche se l’estrazione è ancora complicata. Ciò non ha sopito  le speranze della Russia, che ha iniziato comunque i processi di estrazione; né quelle della compagnia petrolifera Shell, che ha investito circa 5 miliardi dollari nella caccia al petrolio nel mare di Chukchi, lungo le coste statunitensi dell’Alaska.

Il Consiglio artico

Il Consiglio artico fu fondato nel 1996 con la dichiarazione di Ottawa. Gli otto stati membri sono Canada, Stati Uniti, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Danimarca. Tra gli osservatori permanenti rientrano anche Italia e Cina. La qualifica di questi ultimi non prevede la sponsorizzazione di risoluzioni o il diritto di voto su questioni sostanziali. Il Consiglio artico, in veste di forum internazionale per la cooperazione intergovernativa, ha l’obiettivo di salvaguardare la regione artica e le sue popolazioni indigene, garantendo uno sviluppo sostenibile da un punto di vista economico, politico e sociale.

Gli attori coinvolti nello sfruttamento delle risorse dell’Artico

Le potenze coinvolte sono anzi tutto i membri e gli osservatori permanenti del Consiglio artico, in particolare quelli con una contiguità geografica, come i paesi scandinavi, USA, Russia e Finlandia. Questi paesi, con lo scioglimento dei ghiacci, sono determinati a giocare da protagonisti nello sfruttamento della trasformazione economica e geopolitica della regione, usufruendo a pieno delle risorse che offre. La Danimarca è inclusa per il suo passato post-coloniale. La Russia invece è sempre stata coinvolta, dall’epoca zarista fino a Stalin nella regione artica con la costruzione dei Gulag ed oggi, invece, con la Northern Sea Route, ovvero il famoso passaggio realizzabile a Nord-est. La Norvegia rappresenta un hub rilevante per la NATO nella regione ed è un importante estrattore di petrolio nel Mare di Barents. Il Canada è coinvolto nel passaggio speculare a Nord-Ovest; infine gli USA, grazie all’acquisizione  dell’Alaska nel 1868, hanno un ruolo rilevante nel passaggio sullo stretto di Bering.

L’importanza commerciale delle rotte artiche

In un periodo compreso tra il 2030 ed il 2050, l’Artico, per alcuni periodi dell’anno, potrebbe addirittura divenire libero dai ghiacci. Questa totale assenza di ghiaccio libererebbe  nuove rotte commerciali e faciliterebbe l’estrazione di minerali preziosi. Potrebbero sbloccarsi le rotte commerciali Nord-Ovest e Nord-Est. Il confronto tra le due rotte artiche e le rotte passanti per l’istmo di Panama e il Canale di Suez, mostra che il passaggio a Nord-Ovest implicherebbe un risparmio  di circa 4.000 km rispetto alla tratta panamense, mettendo in comunicazione l’arcipelago artico del Canada e il Mar Glaciale Artico. Allo stesso modo, il passaggio a Nord-Est metterebbe in comunicazione l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico, accorciando di circa il 40% i tempi di navigazione che transitano per il Canale di Suez e l’Oceano Indiano.

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Passare dall’Artico non è agevole 

Dalla Northern Sea Route (più comunemente conosciuta come la Rotta Trans-Polare) si ha accesso tramite lo Stretto di Bering situato tra le coste russe e statunitensi. Da qui si diramano tre vie di comunicazione che vanno a congiungere i continenti americano, asiatico ed europeo. Due sono le rotte cosiddette impercorribili: il transito verso l’Oceano Artico ed il passaggio a Nord-Ovest. L’ultima, una volta superato lo stretto di Bering, si estende lungo le coste canadesi, che rimangono ghiacciate anche nel periodo estivo, sono enormemente frastagliate e inadatte (se non pericolose) al passaggio di portacontainer per il trasporto di merci, materie prime e risorse energetiche. Per considerare questo passaggio come via marittima commerciale, l’ausilio delle navi rompi ghiaccio diventa fondamentale, ma anche esoso. Il passaggio destinato a divenire una nuova e futura rotta commerciale per numerose potenze mondiali (con in testa la Cina) rimane quello a Nord-Est. Tale rotta, una volta giunti nello stretto di Bering, si estende lungo la costa artica siberiana fino ad arrivare alla penisola russa di Novaya Zemlya, giungendo infine alle coste norvegesi.

Le ambizioni di Pechino

La Cina, anche se non è un membro del Consiglio artico, ne è diventata osservatore permanente nel 2013. Le sue ambizioni si estendono in vari settori. Pechino oggi si identifica come una “potenza quasi artica” e, all’interno del libro bianco pubblicato dal governo nel 2018, riguardante la strategia artica, la via polare della seta è parte integrante della Belt and Road Initiative (BRI). Il piano per la Polar silk road prevede intese bilaterali firmate con l’Islanda per accordi di libero scambio. La firma del “5+5 Agreement” tra paesi artici ed asiatici, nel 2018, porterà a usufruire in futuro della zona ittica dell’artico, fondamentale per le riserve cinesi. Inoltre, nell’Artico, si estraggono circa 675 mld di metri cubi di gas naturale, a cui Pechino cercherà di accedere.

La Northern Sea Route è un’alternativa a Suez e Malacca?

L’obiettivo principale della Cina è trovare delle alternative alle rotte commerciali che transitano dallo stretto di Malacca e dal Canale di Suez. Oltre alla maggior sicurezza, l’Artico rappresenta una via più breve. Il 90% del commercio mondiale si svolge sull’asse Asia-Europa-Nord America. Oggi la rotta alternativa più praticata è Northern Sea Route;  si stima che la nuova rotta artica possa ridurre di due terzi il tempo di navigazione rispetto a Suez, con appena 4.200 miglia marittime. I numerosi accordi bilaterali tra Pechino ed Helsinky e la costruzione della ferrovia tra Rovaniemi in Lapponia e Kirkenes (porto norvegese al confine russo, porta container terminale europeo per le merci asiatiche), puntano a permettere il trasferimento di merci cinesi fino al centro dell’Europa, anche grazie al tunnel baltico (un progetto che tuttavia deve ancora essere approvato da Bruxelles). La Polar silk road rappresenta dunque la terza arteria infrastrutturale all’interno del megaprogetto della Belt and road initiative (BRI), dopo la via terrestre che congiunge Pechino direttamente con l’Europa attraverso l’Asia Centrale;  e la via marittima, attraverso il bacino del Mar meridionale cinese, lo stretto di Malacca ed il Canale di Suez.  Nel gennaio 2018, con la pubblicazione della China artic policy il governo di Xi Jinping ha individuato nella rotta artica la terza diramazione della BRI come un’importante via complementare.

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L’Artico e la svolta energetica della Cina

Oggi la regione artica viene considerata il bacino energetico del futuro e la Russia di Vladimir Putin rimane capofila dei progetti di estrazione energetica. La strategia di  decarbonizzazione di Pechino passa per una svolta energetica più pulita e naturale guardando verso l’Artico. Il progetto Yamal-LNG, costato circa 27 mld di dollari, prevede l’estrazione di gas naturale dal permafrost e offshore, oltre alla costruzione del porto di Sabetta, nella penisola russa di Yamal. Realizzato da TotalEnergies, è finanziato da China development bank, China silk and road fund e  China national petroleum corporation, con oltre 12 mld di dollari. Con l’obiettivo di divenire un fondamentale stakeholder dell’Artico, Pechino, attraverso le infrastrutture collocate nella rotta transpolare, si garantirebbe il rifornimento di gas liquido naturale.

La digitalizzazione dell’Artico

La Cina, congiuntamente ad una società finlandese, sta avviando la cablatura dell’Artico. Questa consiste in quasi 11.000 chilometri di fibra ottica e avrà l’obiettivo di collegare il continente asiatico all’Occidente. I cavi sottomarini saranno situati in Gran Bretagna, Giappone, Alaska (USA) e Canada. L’obiettivo è accelerare i tempi per le transazioni internazionali e agevolare i futuri investimenti che riguarderanno le infrastrutture della regione polare. Trasformare l’Artico entro il 2023 nella regione con la connessione digitale più veloce della Terra non è un’utopia.

L’”imperialismo artico” della Cina in Groenlandia

La Cina sta puntando molto anche sulla Groenlandia.  In questo quinquennio sono stati investiti circa 15 miliardi di euro con l’obiettivo di aprire aeroporti, una grande base scientifica, miniere di zinco e ferro. I rapporti tra i due Paesi si sono intensificati negli anni, con regolari visite di stato e l’apertura di un ufficio di rappresentanza a Pechino. La Groenlandia ambisce a diventare uno stato nazione, rendendosi indipendente dalla Danimarca;  il ministro delle finanze e delle risorse minerarie Inuit, Vittus Qujaukitsoq, ha più volte sottolineato come siano importanti i capitali cinesi.

Un altro protagonista nell’Artico: la Russia

A livello geografico l’Artico rientra per un terzo nella Federazione Russa. Il “nuovo Mare nostrum” del ventunesimo secolo rappresenta una fetta importante del PIL russo e una ingente riserva di gas e idrocarburi offshore. Verso le lunghissime coste dell’Artico, Putin ha già investito molto negli anni, in particolare nella costruzione di 10 porti, tra cui quello di Sabetta. Le previsioni dicono che, entro il 2025, la Northern sea route potrà diventare una rotta commerciale complementare alle rotte tradizionali già esistenti;  e saranno i russi a farla da padroni.

Gli interessi europei

Non tutte le potenze europee sono coinvolte nell’Artico con ricerche scientifiche,  estrazioni di minerali, risorse energetiche e future rotte commerciali. Tra i paesi attivi si è menzionata già l’Italia, uno degli osservatori permanenti del Consiglio artico; ma è la Norvegia che a livello geografico e geopolitico rimane sicuramente la più esposta ed interessata al continente artico. Il paese scandinavo reclama diritti esclusivi nei ghiacciai del futuro, ed  è preoccupata per l’attività russa. Nonostante il trattato firmato con la Federazione Russa a Murmansk, agevolando una politica del buon vicinato, Oslo chiede un maggior presidio nell’Artico scandinavo sia all’UE che soprattutto alla Nato. Nel trattato del 2010 è centrale la questione dell’arcipelago delle isole Svalbard. Qui, la Norvegia ha diritti nello sfruttamento di giacimenti offshore, poiché l’arcipelago è in contiguità con le sue acque territoriali. Mosca, che insieme a Roma, ha diritto all’utilizzo delle isole per scopo scientifico, ora contesta il diritto norvegese ad usufruire dei giacimenti energetici, trovando però così un terreno di scontro con l’UE.

La presenza degli USA nell’Artico

Gli Stati Uniti si mettono in posizione difensiva rispetto alle altre potenze:  l’Artico è una questione di sicurezza politica internazionale. Come menzionato in precedenza, se la presenza della Cina e della Russia è notevole tra i ghiacciai della Northern Sea Route, l’attività di monitoraggio del continente da parte della Nato  non è da meno. Nel mare di Barents, infatti, è dislocata  la Marjata IV, la più grande e sofisticata nave spia dell’Alleanza Atlantica. L’unità è posizionata di fronte alla penisola di Kola, sede della fortezza nucleare della flotta del Nord russa. Il suo compito è monitorare tutto ciò che accade nel bacino artico. Inoltre, nell’isola di Vardo gli USA hanno installato il sistema radar “Globus 3”, una componente di allarme antimissile. Questa viene appoggiata per via terrestre anche dalla Norvegia, che ospita una assidua presenza di marines americani nel suo territorio. Per quanto riguarda l’estrazione di metalli e di risorse energetiche, la precedente amministrazione Trump sembrava non essere concretamente intenzionata ad avviare  piani di sfruttamento; erano già state autorizzate le trivellazioni nell’Alaska puntando a consolidare l’autosufficienza energetica nazionale. Gli USA rimangono geograficamente coinvolti e guardano con attenzione (e preoccupazione) alle mosse delle due grandi potenze artiche:  la Russia di Vladimir Putin, sicuramente in posizione di vantaggio; e la Cina, nuovo player emergente molto  aggressivo, che vuole sfruttare nuovi terreni di ricchezze estrattive e commerciali.

Questo post è stato redatto da Davide Sammarone, laureando  in Scienze Internazionali presso l’Università di Torino. Nel 2021 ha svolto uno stage di 150 ore presso l’ufficio studi economici dell’Unione Industriale di Torino. Ecco come presenta le sue competenze e i suoi interessi.

Mi chiamo Davide Sammarone e sono uno studente laureando in Scienze Internazionali, con profilo China and Global Studies all’Università di Torino. Dopo essermi laureato in triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma La Sapienza mi sono trasferito nel 2019 nella città di Torino. Lo stage presso l’Unione Industriale ha confermato le mie ambizioni verso nuove esperienze all’interno del settore privato, e mi ha dato l’opportunità di partecipare alla redazione delle pubblicazioni dell’Unione Industriale su temi geopolitici ed economici. E’ stata anche un’occasione per avvicinarmi a  nuove tematiche relative a investimenti e marketing.  L’obiettivo dei miei studi è  diventare una figura istituzionale di raccordo tra le istituzioni europee e quelle asiatiche cercando di continuare a sviluppare le mie conoscenze teoriche nel campo diplomatico e strategico.

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