Verso un nuovo scenario globale per l’Automotive

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La crisi causata dalla pandemia (- 15%/-20% della produzione automobilistica mondiale in meno nel 2020) sta esasperando alcune tendenze già ben delineate prima della diffusione del Covid-19. Esse stavano spingendo in direzione di una nuova organizzazione del sistema dell’auto prima che le economie fossero bruscamente frenate dalla diffusione dei contagi.

La prima di queste tendenze consiste nel cambio di paradigma tecnologico. Si tratta del maggior cambiamento nella storia dell’auto, dovuto alla graduale sostituzione del motore a combustione con quello a propulsione elettrica.

La seconda tendenza riguarda invece la crisi del modello di globalizzazione, che è stato seguito dall’economia mondiale nel corso dell’ultimo quarto di secolo, con un certo ripiegamento dei produttori all’interno delle aree continentali (le loro “regioni”, come usa dire).

La caduta dei mercati in seguito al Covid-19 è stata, per l’auto, molto pesante (sono previste 20 milioni di auto vendute in meno nel 2020) e ne sono derivate condizioni economiche che sicuramente rendono più costosa e soprattutto più rischiosa sia la transizione tecnologica in atto, sia la riorganizzazione delle filiere produttive su base continentale.

 

È persino superfluo ricordare che lo scenario che ho appena ricordato vale per il sistema dell’auto nel suo complesso e dunque per tutti i suoi attori, siano essi produttori finali o imprese che appartengono all’area della fornitura. Stiamo parlando infatti di una ridefinizione totale del mondo dell’automobile, che riguarda tutti i soggetti che lo compongono.

Si stanno confrontando due modi diversi di intendere l’automobile e il suo futuro. L’uno è legato all’approccio delle grandi case produttrici storiche, che vedono il passaggio all’elettrico, le tecnologie per una guida sempre più assistita fino al limite dell’esautorazione del guidatore, come un’innovazione che si compie sul ceppo di una storia industriale lunga centoventi anni.

L’altra è la visione sostenuta dagli innovatori più radicali (il riferimento d’obbligo è naturalmente a Elon Musk). Essa non guarda all’auto come a un prodotto che discende da una lunga storia novecentesca, ma come a uno strumento per la mobilità che ha più aspetti in comune col computer che con le vetture del passato.

 

Ci troviamo nel pieno di un confronto tra visioni diverse e approcci alternativi alla mobilità e dei loro processi.

 

Con questo confronto stiamo entrando nel campo della new mobility, che giustamente enfatizza un recente documento della Confindustria emiliana dedicato alla filiera automotive.

Dobbiamo prepararci a considerare questo confronto tecnologico e industriale e i suoi possibili esiti come una delle discriminanti dell’evoluzione economica e industriale dei prossimi anni e essere in grado di fare una sintesi.

 

Noi a Torino ne abbiamo tutte le capacità.

 

Naturalmente, l’essere nel mezzo di una mutazione economica e tecnologica che il sistema dell’auto non ha mai vissuto in forma così acuta rende più difficile il compito degli operatori e dei produttori del settore, i quali devono misurarsi con una sfida terribile senza avere a disposizione la conoscenza della situazione che sarebbe indispensabile. Una decina di giorni fa, al Forum Ambrosetti si è discusso di come sarà la ripresa dopo la paurosa crisi che stiamo attraversando e nessun economista si è sentito di scommettere su quale sarà la sua dinamica.

Ciò impone a tutti i soggetti del sistema dell’auto di prepararsi a essere quanto più versatili e flessibili, perché è assai probabile che dovremo reagire a un rapido cambiamento delle situazioni di mercato. Prontezza, rapidissima capacità di adattamento, reattività immediata al mutare dei mercati, celerità nel cogliere le occasioni che si presenteranno, sono tutti fattori destinati a incidere sulla capacità competitiva delle imprese.

 

Per le imprese della fornitura il compito, se si vuole, si presenta ancora più impegnativo. Esse infatti devono apprendere a entrare in relazione con gruppi imprenditoriali differenziati nelle loro strategie e nel loro modo di operare. Devono sviluppare maggiore capacità di sintonia e specializzarsi nella lettura tempestiva dei dati di mercato. Insomma, devono essere in grado di sviluppare delle relazioni di partnership fra loro stessi e con i produttori finali.

Ho insistito volutamente sulla necessità di trasformare la visione di chi opera all’interno del sistema dell’auto perché a mio avviso si tratta del presupposto per riuscire poi a innescare delle innovazioni importanti nelle nostre strategie e nel nostro modo di porci all’interno di un settore dai confini sempre più vasti.

Questa è una lezione di metodo che vale in primo luogo, ma non solo, per le imprese torinesi. Esse vengono certamente da una grande tradizione nella produzione automobilistica, che ha saputo tradursi in risultati di assoluta eccellenza. Ma oggi siamo dinanzi a uno scenario che ci sollecita a innovare radicalmente la nostra attività.

Dobbiamo chiederci se siamo pronti a competere sulle strategie di reshoring a livello europeo, sapendo che non possiamo contare su un aiuto così forte da parte dello Stato come quello di cui dispongono altri paesi. Noi non abbiamo alle spalle politiche industriali robuste come quelle di Germania e Francia, per esempio, ma nemmeno disponiamo dell’appoggio convinto al sistema dell’auto che è stato fornito, in questi ultimi anni, da paesi dell’Est europeo come la Cechia, l’Ungheria, la Slovacchia, dove la produzione automobilistica si è fortemente radicata.

 

Noi oggi competiamo soprattutto sulla base delle nostre forze e della lunga e solida esperienza che abbiamo maturato. È un patrimonio di valore, ma che dobbiamo innovare. In primo luogo qui a Torino.

 

L’anno prossimo nascerà un nuovo, grande gruppo automobilistico, Stellantis, che si unirà alla presenza a Torino di Cnh. Ciò avrà ricadute importanti sul nostro territorio, che ospita la produzione della Fiat 500 Bev, cui si aggiungerà, come hanno annunciato Mike Manley e Claudio Gorlier la settimana scorsa, quella dei nuovi modelli Maserati GranTurismo, completamente elettrica, e GranCabrio. In particolare, Torino diventerà il centro dell’elettrificazione dell’auto italiana, con un impegno speciale per il segmento di gamma più elevato.

È evidente che per il nostro distretto dell’auto si tratta di un’opportunità che dobbiamo sfruttare, ma aggiungo anche che dovremo darci da fare affinché diventi tale. Nulla sarà garantito. Dovremo sviluppare il rapporto col nuovo gruppo Stellantis, migliorando le nostre competenze, potenziando la qualità dei nostri processi, incentivando la nostra produttività.

Mi auguro che il nuovo gruppo manterrà qui le strutture di ricerca e progettuali realizzate da Fca. Tocca a noi imprese della fornitura impegnarci per compiere un ulteriore salto di qualità che ci qualifichi, non soltanto agli occhi di Stellantis,  ma agli occhi di tutti i produttori d’automobili nel mondo.

Dobbiamo agire in una duplice direzione: da un lato, dobbiamo fare di tutto perché il grande patrimonio di know-how che abbiamo accumulato in oltre un secolo di storia non vada diminuito o disperso; dall’altro, perché il suo arricchimento ulteriore diventi condizione per attrarre nuove attività e nuovi operatori a Torino.

 

Deriva da qui l’impegno della nostra Unione Industriale, insieme al Politecnico, all’Università e alle istituzioni, per il trasferimento tecnologico e la formazione e la riqualificazione dei nostri lavoratori.

Per noi è una priorità assoluta: dobbiamo coinvolgere sempre più strettamente le nostre imprese, specie quelle di minori dimensioni, nel processo di innovazione tecnologica, così come dobbiamo coinvolgere i lavoratori in un’azione continua di miglioramento delle loro competenze professionali. È la via maestra per innalzare la qualità e la performance del nostro territorio.

Vorrei essere esplicito: il nostro sistema industriale locale si trova a un bivio. O si consolida e cresce, facendo leva sulle sue specializzazioni e attitudini, o ripiega su se stesso, pregiudicando così il proprio futuro.

Credo che dobbiamo giocare fino in fondo la partita che abbiamo davanti ed essere convinti che possediamo le risorse per vincerla e per affermarci come ci siamo affermati nel passato.

Ma per farlo dobbiamo intervenire speditamente sui nostri limiti e colmare i nostri punti di debolezza.

 

C’è un aspetto, in particolare, su cui mi preme insistere. Esso riguarda le dimensioni delle nostre imprese, che restano insufficienti, come ha sottolineato di recente il Governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco, riprendendo un concetto già espresso da Mario Draghi.

Abbiamo le qualità e i meriti che tutti ricordano. Ma tra di essi non rientra l’attitudine a ricercare la crescita dimensionale delle imprese. Di conseguenza, ci ritroviamo oggi con aziende che non hanno le dimensioni giuste per competere sui mercati europei e internazionali.

Eppure, dovremmo sapere che la leadership imprenditoriale deve puntare a far crescere le imprese e che questo è uno dei suoi compiti primari.

Dobbiamo superare il limite delle dimensioni, convincendoci che ci sono ottime ragioni per avere imprese più grandi, più capaci di integrare le attività di fornitura, più orientate a dare vita a un legame di partnership stretta con i produttori finali.

L’aggregazione rappresenta la carta vincente per accelerare il cambiamento tecnologico, insieme alla managerializzazione.

 

Un’ultima nota, infine, che volutamente fin qui non ho enfatizzato, riguarda il rapporto con la politica industriale e le istituzioni.

Vorrei far rilevare che quella della politica industriale è ancora, in larghissima parte, una casella vuota, che il governo deve riempire. La scadenza fondamentale è quella del Recovery Fund. Tutte le nazioni europee che hanno un’anima produttiva, hanno una politica industriale, l’Italia ancora no, perché non ha riconosciuto rilievo strategico alla meccanica e all’automotive.

È da molto tempo che esiste una lacuna nella coesione tra pubblico e privato.

Ora è davvero il tempo di colmarla.

About Giorgio Marsiaj

Giorgio Marsiaj è fondatore, Presidente e Amministratore Delegato di SABELT S.p.a E' Presidente di Unione Industriale Torino dal 13 luglio 2020, Presidente AMMA dal 2016 e Presidente della Consulta per la Valorizzazione dei beni Artistici e Culturali di Torino da maggio 2020.​

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