Manovra 2020: come non navigare in un mare in tempesta

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La Manovra 2020 serve a rilanciare la crescita? 

Il Parlamento si appresta a varare la Manovra  2020. Al di là degli interventi specifici (ancora in via di definizione), più o meno condivisibili e con maggiori o minori ricadute  per le nostre imprese, l’impianto complessivo della Manovra sarà in grado di stimolare la crescita?  La risposta deve essere realistica: l’impatto sarà molto modesto o nullo.

Un contesto problematico

La nostra economia sta attraversando un momento particolarmente difficile e delicato. Inutile farsi illusioni su una chimerica “ripresa”. Sono preoccupate anche le previsioni del Fondo Monetario presentate a metà ottobre. Dopo un 2019 di crescita zero, anche il 2020 non sarà molto più brillante.  Nella migliore delle ipotesi, la crescita italiana potrà salire di qualche decimo di punto: insufficiente a rilanciare produzione e occupazione.  È  importante mettere in campo tutte le risorse ed energie a nostra disposizione, pur nei limiti che ci impongono una congiuntura internazionale sfavorevole e i vincoli di bilancio. Per questo è necessario definire con chiarezza obiettivi e priorità.

Gli obiettivi di finanza pubblica

Tra i pochi punti fermi della Manovra, vi è la sterilizzazione dell’aumento dell’Iva (e delle accise). Si è evitato un aggravio fiscale di circa 23 miliardi, che avrebbe inevitabilmente penalizzato i consumi e la crescita. Inoltre, è senza dubbio apprezzabile il cambiamento di atteggiamento nei confronti della UE, meno aggressivo e più conciliatorio. La Manovra obbedisce tuttavia alle medesime regole di tante manovre viste in passato. È basata su aumento del deficit e lotta all’evasione. Sono quasi nulli gli interventi strutturali sulla spesa, nessuna attenzione viene rivolta alla riduzione del debito pubblico (invariato al 130% del Pil). Non c’è una visione di più lungo periodo, nè un’ipotesi di politica industriale. E’ basata su Interventi di breve o brevissimo respiro, talvolta perfino contradditori tra loro.

Condizioni finanziarie eccezionali non hanno ridotto il nostro debito

Negli ultimi anni il nostro paese ha tratto vantaggio da condizioni finanziarie eccezionalmente favorevoli, grazie alla politica monetaria espansiva adottata dalla BCE. Abbiamo finanziato il debito pubblico a tassi di interesse molto bassi, senza  riuscire a ridurre di un solo punto il rapporto tra debito e Pil. Questa situazione non è destinata a perpetuarsi in eterno, soprattutto se una nuova crisi di fiducia o una recessione globale porterà i mercati a  cercare investimenti più sicuri, penalizzando i paesi ad alto debito.

Una Manovra che aumenta il deficit 

Negli obiettivi della Manovra, il disavanzo dovrebbe salire pari al 2,2% del Pil, a fronte di un deficit tendenziale (che incorpora l’aumento delle imposte indirette previsto dalla clausola di salvaguardia) pari all’1,4%. Il disavanzo strutturale, ossia il disavanzo corretto per il ciclo e per i fattori temporanei, peggiora di un decimo di punto, anziché migliorare di 0,6 punti come concordato appena pochi mesi fa con la Commissione europea.  Viene così richiesta una flessibilità alla Ue di circa lo 0,7% del Pil (oltre 14 miliardi). Un margine significativo, anche alla luce di quanto concesso all’Italia negli ultimi anni.

Nella Manovra solo entrate una tantum

Per raggiungere l’obiettivo del 2,2%, oltre a utilizzare i fondi derivanti dal minore utilizzo, rispetto a quanto previsto, del reddito di cittadinanza e di Quota 100, la Manovra prevede entrate aggiuntive e minori spese. Nel complesso si tratta di interventi restrittivi pari a 0,5 punti di PIL (equivalenti a circa 8 miliardi di euro).

Una vecchia ricetta di ogni manovra: la lotta all’evasione

Le maggiori entrate derivano in larga parte dal “recupero dell’evasione fiscale”, che dovrebbe assicurare un maggior gettito pari a 7 miliardi. Un obiettivo molto ambizioso, che Confindustria, Bankitalia e Corte dei Conti (tra gli altri) giudicano irrealistico. Le entrate sono in gran parte  una tantum, non strutturali. Poiché con la attuale manovra il debito  non scenderà, il prossimo anno sarà nuovamente necessario trovare nuove risorse aggiuntive pari a oltre 20 miliardi per “disinnescare” nuovamente la clausola di salvaguardia.

La riduzione del cuneo fiscale: un obiettivo illusorio

Quale giudizio dare dell’ipotizzata riduzione del cuneo fiscale (pari allo 0,15% del Pil nel 2020)? Una riduzione di questa (modesta) portata è insufficiente a rilanciare i consumi. Questo è vero per qualunque configurazione venga adottata (fasce di reddito, massimali, ecc.) , così come è stato per il benefit di 80 euro introdotto dal governo Renzi. Del resto, ipotizzare riduzioni di maggiore incisività è pura utopia: non ce ne sono le condizioni di finanza pubblica.

Pressione e cuneo fiscale  non ci penalizzano

Ma soprattutto, sono davvero la pressione fiscale e il cuneo fiscale i veri problema che appesantiscono il nostro Paese? Le zavorre che limitano la competitività delle nostre imprese e del nostro sistema-paese? Ci sono buone ragioni per dubitarne. Secondo i dati Eurostat la pressione fiscale (somma di contributi sociali, imposte dirette e indirette in rapporto al Pil) dell’Italia (42%) è inferiore a quella della Francia (47%) e di poco superiore a quella della Germania (39%) – i paesi con i quali dobbiamo confrontarci. Per non parlare dei paesi del Nord Europa.
Anche il cuneo fiscale (somma di imposte dirette e contributi pagati sul reddito da lavoro) è allineato a quello dei paesi di benchmarkSecondo i dati OCSE, il rapporto tra contributi sociali e Pil  è pari al 13 % in Italia, al 17% in Francia, al 15% in Germania. Il rapporto tra imposte totali e contributi sul salario medio (per un lavoratore single senza figli) è pari a 47,9% per l’Italia, 47,6% per la Francia e 49,5% per la Germania.

Conta la qualità della spesa 

In sostanza, non è la “quantità” di imposte e contributi che ci penalizza. Guardiamo piuttosto a “qualità” ed efficacia della spesa e dei servizi finanziati dalla tassazione. Un conto è spendere in investimenti, istruzione e infrastrutture, un conto è aumentare spesa corrente e trasferimenti. Un conto è fare politiche industriali di ampio respiro, un conto tamponare situazioni di emergenza (v.Alitalia o Ilva) o rispondere a istanze assistenziali o peggio elettorali.

Una bassa  produttività del lavoro

Più interessante a questo proposito è confrontare un altro parametro. Nel 2018, praticamente a parità di cuneo fiscale, la produttività del lavoro (Pil per ore lavorate) è molto inferiore in Italia rispetto a Francia e Germania: 47 dollari nel nostro paese contro i 61 della Francia e i 60 della Germania. Inoltre negli ultimi dieci anni la produttività del lavoro è cresciuta in Francia di quasi il 9% e in Germania del 7%, mentre in Italia è praticamente rimasta invariata. Negli ultimi dieci anni il costo del lavoro in Francia e in Germania è sempre stato più alto che in Italia. In Francia, nel 2017 e 2018, è inferiore solo di pochi decimali.

Rilanciare la produttività

Questi dati ci dicono che per rilanciare in modo strutturale la competitività del nostro paese occorre intervenire anzi tutto sui fattori che aumentano in modo strutturale la produttività del lavoro e quindi la competitività delle nostre imprese: qualità delle risorse umane, istruzione, innovazione, tecnologia, dimensione d’impresa. Una spesa pubblica “virtuosa” che agisca su queste leve è in grado di rilanciare produttività, crescita e produzione e ridurre il debito pubblico. Una Manovra ben congegnata non può fare miracoli: ma può porre alcuni mattoni di una politica industriale seria, responsabile e di più ampia visione, condivisa da soggetti economici e cittadini.

About Dario Gallina

Dario Gallina | CEO dott.gallina srl and President of Unione Industriale Torino | Polycarbonate systems and sheets for building application #innovation

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