Trump vs Xi. Il neoeletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sta portando avanti politiche in netto contrasto con gli accordi internazionali sul clima. Il suo slogan “drill, baby, drill” riassume bene la volontà di puntare sull’espansione dei combustibili fossili.
Uno dei segnali più chiari è il recesso degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, che si concretizzerà nel 2026. Questo posizionamento ostile alla lotta contro il cambiamento climatico rischia di rallentare la transizione verde su scala globale.
Cina e Stati Uniti: leadership a confronto nella transizione energetica
Stati Uniti e Cina sono i due principali paesi con più emissioni di CO2 a livello globale. Se da un lato il presidente Trump ha definito il Green New Deal un “Green New Scam”, dall’altro la Cina ha fatto degli investimenti nella transizione energetica e nelle tecnologie verdi uno dei suoi maggiori punti di forza. Nel 2023, gli investimenti cinesi nella transizione energetica hanno raggiunto la cifra di 675,9 miliardi di dollari US, superando di gran lunga altri paesi. Nello stesso anno gli Stati Uniti si sono aggiudicati la seconda posizione con 300 miliardi di dollari US. L’impegno cinese verso l’energia verde è ulteriormente dimostrato dai suoi investimenti ad esempio nell’idrogeno verde, che tra gennaio e novembre 2023 hanno raggiunto i 189 miliardi di yuan.
Il peso dell’economia verde cinese e la corsa verso la neutralità carbonica
Le tecnologie per l’energia pulita contribuiscono per oltre il 10% del PIL cinese, pari a circa 1,9 trilioni di dollari in vendite e investimenti verdi. I veicoli elettrici e le batterie sono stati i maggiori contributori, rappresentando 736 miliardi di dollari nel 2024, seguiti dall’energia eolica e solare con 508 miliardi di dollari combinati.
Tra i progetti ambizioni cinesi abbiamo la riduzione delle emissioni prima del 2030 e il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2060. Per farlo la Cina dovrà portare avanti investimenti sostanziali in diversi settori. Si stima che i soli settori dell’energia e dei trasporti richiederanno circa 13,8 miliardi di $ tra il 2021 e il 2060. Inoltre, si stima che la Cina avrà bisogno di 1,7 trilioni di dollari in investimenti energetici annuali dal 2024 al 2050 per essere sulla buona strada per le emissioni nette zero.
I NUOVI OBIETTIVI CINESI DEL 2025
Il Congresso nazionale del popolo e le priorità strategiche
Il 5 marzo si sono aperti i lavori del Congresso nazionale del popolo in Cina. Dopo l’entrata di Xi Jinping nella Grande Sala del Popolo su Piazza Tiananmen, il primo ministro Li Qiang, davanti a quasi tremila delegati, ha esposto l’annuale “Rapporto di lavoro del governo”. Il documento offre una valutazione dell’anno trascorso e delinea una strategia per il 2025. Un anno cruciale in cui verranno gettate le basi per il prossimo piano quinquennale (2026-2030). Tra i numerosi temi trattati, spicca la questione climatica, ormai parte integrante delle strategie economiche e politiche di Pechino.
Clima, energia e leadership globale: la visione verde della Cina
La Cina ha confermato il proprio impegno a raggiungere il picco delle emissioni di gas serra nei prossimi anni, la neutralità carbonica entro il 2060 e una riduzione di circa il 3% del consumo energetico per unità di PIL entro il 2025, in linea con gli obiettivi già indicati per il 2024. Per accelerare la transizione energetica, sono stati annunciati nuovi progetti nazionali focalizzati sull’efficienza e sull’innovazione a basse emissioni. Sebbene il carbone continui a rappresentare una quota rilevante del mix energetico, il governo sta incentivando l’adozione di tecnologie a basse emissioni anche nelle centrali a carbone. Nel suo intervento, il premier Li ha inoltre sottolineato che la Cina intende “partecipare attivamente e assumere un ruolo guida nella governance globale” del cambiamento climatico. Un’affermazione particolarmente significativa se letta nel contesto della crescente competizione con gli Stati Uniti.
Rilevanza del settore green
Nel 2024, gli investimenti della Cina in energia pulita erano prossimi al totale mondiale investito in combustibili fossili. Inoltre, avevano una portata simile alle dimensioni complessive dell’economia dell’Arabia Saudita, secondo l’analisi fornita da Carbon Brief. A guidare la spinta sono i cosiddetti “nuovi tre” (新三样), ovvero celle solari, batterie al litio e veicoli elettrici. Questi tre settori, da soli, hanno raccolto oltre la metà degli investimenti e sono stati responsabili di circa il 75% della crescita dell’intero comparto. Un dato significativo è che la Cina non avrebbe raggiunto il suo obiettivo di crescita del PIL del 5% senza la crescita delle tecnologie pulite, con un’espansione del 3,6% invece del 5,0% registrato.
NEV e batterie: il cuore pulsante dell’economia verde cinese
Nel 2024, i veicoli elettrici e le loro batterie hanno contribuito maggiormente all’economia cinese basata su energia pulita, rappresentando circa il 39% del valore complessivo. La quota più consistente di questo totale proviene dalla produzione di veicoli elettrici a batteria e ibridi plug-in, che rappresentano la componente principale di quelli che la Cina definisce “veicoli a nuova energia” (NEV), con un valore superiore ai 3 trilioni di yuan. Seguono, per entità, gli investimenti nella produzione di NEV e delle relative batterie.
Trend di crescita e dinamiche di mercato
Gli investimenti negli impianti di produzione di veicoli a nuova energia (NEV) sono aumentati dell’11%, raggiungendo 1,4 trilioni di yuan, segnando però un rallentamento rispetto agli alti tassi di crescita del 2023. Al contrario, i capitali destinati alla costruzione di nuove fabbriche di batterie sono diminuiti rispetto all’anno precedente, incidendo negativamente sull’andamento complessivo del settore. Nel 2024, la Cina ha prodotto 13 milioni di NEV, con un incremento annuo del 34%. Di questi, circa il 22% è stato esportato, mentre la restante parte è stata assorbita dal mercato interno.
Crescita dei NEV in Cina e nuove funzionalità tecnologiche
I NEV rappresentano attualmente l’unico segmento in espansione per i produttori automobilistici cinesi. Nel 2024, hanno costituito il 41% delle vendite totali di veicoli, in crescita rispetto al 32% registrato nel 2023. I nuovi modelli di veicoli elettrici, inoltre, vantano un’autonomia migliorata e tempi di ricarica più veloci, spesso al di sotto di 1 ora, contribuendo a fare gola su una larga parte di consumatori. Nuove funzionalità intelligenti sono state introdotte, a partire dal pilota automatico per migliorare la performance e il comfort alla guida.
Il limite dei plug-in e la sfida europea
Ad oggi, la produzione di veicoli plug-in è quella che sta crescendo maggiormente, ma non in Europa. Un rapporto della Commissione Europea sulle emissioni di CO2 reali di automobili e furgoni ha rivelato che per i veicoli ibridi plug-in, le emissioni reali di CO2 sono risultate in media 3,5 volte superiori rispetto ai valori misurati in laboratorio, a conferma del fatto che questi veicoli, al momento, non stanno raggiungendo il loro pieno potenziale. Ciò è dovuto principalmente al fatto che non vengono ricaricati né utilizzati in modalità completamente elettrica con la frequenza prevista.
Fonte: https://climate.ec.europa.eu/document/download/b644dafe-1385-4b56-98d9-21e7e9f3601b_en?filename=report.pdf, pag. 7
UNA NUOVA OPPORTUNITA’ PER PECHINO
La seconda amministrazione Trump sta facendo di tutto per fare retromarcia nell’ambito della transizione verde. Il Presidente e i repubblicani al Congresso hanno l’obiettivo di abrogare l’Inflation Reduction Act del 2022, promosso dalla presidenza Biden, per destinare ingenti quantità di denaro nei prossimi dieci anni alle tecnologie energetiche a basse emissioni di gas serra attraverso agevolazioni fiscali, prestiti e sovvenzioni. Il piano di Biden non aveva solo l’obiettivo di contrastare le emissioni di CO2, ma anche quello di frenare il primato di Pechino nel settore. Questo dietro-front della Casa Bianca, in realtà, lascia maggiore spazio di azione alle politiche promosse dal Partito Comunista Cinese.
La Cina e l’Africa: infrastrutture verdi e nuove vie della seta
Da anni, le economie in via di sviluppo – in particolare quelle africane – vedono nella Cina un partner privilegiato. Pechino è coinvolta nella realizzazione non solo di infrastrutture di base, ma anche di quelle legate alla transizione verde.
Molti di questi mercati sono ancora poco sviluppati, ma offrono ampie prospettive di crescita. Rappresentano una possibile valvola di sfogo per la sovracapacità cinese a basso costo, che sta generando tensioni con le economie avanzate.
Il ruolo della Belt and Road Initiative è centrale. Ha aperto la strada anche alla “Green Silk Road”, concetto introdotto da Xi Jinping nel 2016. Questa nuova visione serve al Partito Comunista Cinese per promuovere progetti sostenibili e di alta qualità. L’obiettivo è mostrare la Cina come una potenza moderna e tecnologicamente avanzata.
Pechino guarda con sempre più interesse al settore green. Non solo per conquistare la leadership in un comparto chiave per l’economia mondiale, ma anche per rafforzare la propria immagine globale. La Cina punta infatti a posizionarsi come un attore responsabile nella lotta al cambiamento climatico. Una strategia di soft power che mira a presentarla come un partner affidabile sulla scena internazionale.
CAPIRE L’ECONOMIA CINESE
Le “Nuove Forze Produttive”
Nel 2023, il presidente Xi Jinping parlò per la prima volta del concetto di “nuove forze produttive”, poi divenuto centrale nelle politiche economiche e ideologiche del Partito Comunista Cinese. Questo concetto si inserisce in una lunga tradizione di politiche industriali e tecnologiche che, a partire dal 2006, puntano allo sviluppo di settori emergenti e ad alta tecnologia, come l’intelligenza artificiale, le energie rinnovabili e i semiconduttori. Nonostante questi progetti ambiziosi, la Cina presenta ancora diversi punti di debolezza, primo fra tutti la difficoltà nella comunicazione tra industria e ricerca, seguita dalla bassa capacità di diffusione delle innovazioni.
La struttura dell’industria cinese
Il modello dell’economista Aaron Slodov, che divide la base industriale in tre livelli (capacità, esecuzione e applicazione), analizza e spiega la struttura dell’industria cinese. La Cina eccelle nella capacità produttiva, grazie al suo sistema manifatturiero integrato, il più grande al mondo. Nonostante l’esecuzione sia supportata da un ampio bacino di ingegneri e lavoratori qualificati, sono ancora presenti lacune tra innovazione scientifica e applicazione tecnologica. Per tutelare questi punti scoperti, sono stati creati consorzi di innovazione e cluster industriali ad alta tecnologia, come quello dei semiconduttori guidato da Huawei.
Nell’ambito dell’applicazione, la Cina è leader nel settore dei veicoli elettrici e delle tecnologie green, ma la trasformazione industriale necessita di una maggiore apertura al mercato. Esistono svariate possibilità che Pechino cerchi di risolvere queste lacune a fronte del futuro incerto stabilito dai piani della presidenza Trump.
QUALI PROSPETTIVE PER L’AGENDA SUL CLIMA?
Nonostante il negazionismo del neoeletto presidente americano, le comunità di tutto il mondo si trovano a dover affrontare l’intensificarsi dei disastri naturali e la loro crescente gravità e frequenza. In Cina e in Europa, dove l’ambiente politico è stato favorevole alla costruzione di un futuro basato sull’energia rinnovabile, le nuove industrie e tecnologie hanno reso possibile l’abbassamento dei costi della transizione energetica: il costo dell’energia solare è sceso dell’85%, per non parlare della riduzione dei costi dei veicoli elettrici grazie alla capacità cinese. Nonostante si debba fare ancora tanta strada nel campo degli investimenti (circa 4,5 trilioni di dollari all’anno, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia), la Cina è ben posizionata: il framework di azione dimostrato dal Paese sarà essenziale per incoraggiare il finanziamento privato di investimenti sostenibili.
L’incertezza economica globale indotta da Trump intacca proprio gli investitori non solo nel Nord America, ma in tutto il mondo, causando un possibile effetto spill-over negativo nel settore. L’eccessiva incertezza internazionale si è dimostrata e si sta dimostrando nociva per gli affari: le previsioni economiche sono sempre meno certe e le borse internazionali accusano il colpo dell’imprevedibilità delle mosse trumpiane.
IL RUOLO CHIAVE DEGLI ACCORDI COMMERCIALI REGIONALI
Un accordo commerciale verde per accelerare la transizione globale
In un articolo dell’East Asia Forum, il professor Ma Jun (fondatore e presidente dell’Institute of Finance and Sustainability con sede a Pechino), ritiene che la soluzione per non lasciare indietro l’agenda sul clima sia l’ambiziosa creazione di un accordo commerciale verde per promuovere la riduzione delle tariffe e delle barriere non tariffarie su un elenco attentamente selezionato di beni e servizi verdi, che possano offrire vantaggi ambientali e climatici. L’effetto di questo accordo ridurrebbe i costi dei beni e dei servizi verdi nella maggior parte dei paesi, stimolando ulteriori progressi tecnologici nell’industria verde. Ma come potrebbe concretizzarsi questa iniziativa? Grazie ad accordi commerciali regionali già esistenti, come ad esempio la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), presente nella regione dell’Asia-Pacifico. È il blocco commerciale più grande al mondo (per PIL e popolazione), infatti comprende 15 paesi e rappresenta il 30% dell’attività economica globale.
Il ruolo strategico del Sud-Est asiatico nella transizione energetica
Secondo il professor Ma Jun, il primo passo verso un accordo efficace sarebbe quello di definire un paniere selezionato di beni e servizi. Successivamente sarebbe fondamentale dimostrare i benefici economici di tale accordo a tutti gli stati membri, non solo per il processo di decarbonizzazione, ma anche per la promozione della crescita delle industrie verdi all’interno dei paesi stessi. Infine, un buon mix di incentivi e limiti ai sussidi dovrà essere portato avanti dai governi dei vari paesi favorevoli alla sottoscrizione dell’accordo, per evitare eventuali distorsioni commerciali o controversie. Se l’RCEP implementasse questa proposta, è probabile che un numero crescente di produttori di veicoli elettrici e tecnologie per le energie rinnovabili provenienti da Cina, Giappone e Corea del Sud investirebbe nello sviluppo delle catene di fornitura e trasferirebbe le proprie tecnologie ai produttori locali dei paesi ASEAN tramite licenze.
Il Sud-Est asiatico, infatti, si trova in una fase cruciale del suo settore energetico, di fronte alla pressante necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili per raggiungere gli obiettivi climatici globali. La collaborazione internazionale, sia finanziaria che tecnica, è fondamentale per la transizione energetica della regione.
IL POSIZIONAMENTO EUROPEO
Cooperazione verde tra Europa, Cina e Asia: una necessità strategica
Consolidare e approfondire la cooperazione tra Europa, Cina e Asia Orientale sullo sviluppo di quadri finanziari comuni per gli investimenti verdi è sicuramente cruciale per mantenere un’apertura commerciale che oggi non possiamo dare più per scontata.
L’Europa, che, con l’aiuto di Washington, aveva adottato strategie di de-risking per limitare la dipendenza dalla Cina senza interrompere i legami commerciali, oggi si ritrova costretta a diversificare anche dagli Stati Uniti, complicando le doppie transizioni verde e digitale. I legami con la Cina invece rimangono ostacolati ancora da preoccupazioni geopolitiche, soprattutto per l’alleanza di Pechino con Mosca.
Tra pragmatismo e tensioni: il difficile equilibrio dell’UE
Nonostante le tensioni, è poco probabile che l’UE si allontani definitivamente dagli USA per stringere un’alleanza con la Cina, anche se un approccio più pragmatico sarà sicuramente portato avanti. Pechino intanto sta continuando a rafforzare la sua influenza sia sul piano economico che geopolitico, soprattutto nel Pacifico.
Guardare all’Asia: un’opportunità per l’Europa
Ha sicuramente senso per l’Europa guardare all’Asia con maggiore intensità, chiedendosi come rafforzare il coordinamento e la solidarietà di fronte alla frammentazione e all’incertezza. La stessa Ursula von der Leyen ha affermato che l’UE ha ancora spazio per approfondire i legami commerciali e persino “raggiungere accordi” con la Cina. Se Cina ed Europa riuscissero a rafforzare la cooperazione in settori chiave come commercio, tecnologia e governance globale, il contesto internazionale ne trarrebbe beneficio. Si creerebbero infatti maggiore stabilità e certezza nello scenario globale attuale.
CONCLUSIONI
In un contesto internazionale sempre più polarizzato, gli accordi commerciali verdi multilaterali possono offrire un terreno comune. Su di esso è possibile costruire fiducia, progresso economico e sostenibilità.
Trump vs Xi: mentre la Cina cerca di rafforzare la propria posizione come leader nella transizione verde, gli Stati Uniti sembrano prendere le distanze. Il loro disimpegno climatico potrebbe avere un costo elevato, sia in termini di credibilità che di opportunità economiche.
Il futuro dell’economia mondiale si giocherà anche sulla capacità di bilanciare crescita, innovazione e giustizia climatica. La posta in gioco non è solo ambientale, ma profondamente geopolitica.
Questo post è stato redatto da Sofia Zamponi, studentessa del corso di laurea magistrale in Scienze Internazionali – China and Global Studies – presso l’Università di Torino, nell’ambito di uno stage presso il Centro Studi dell’Unione Industriali Torino. Ecco come si presenta:
Sono Sofia Zamponi, prossima alla laurea magistrale in Scienze Internazionali – China and Global Studies all’Università di Torino. Dopo aver conseguito la laurea triennale in Scienze Internazionali, dello Sviluppo e della Cooperazione presso lo stesso ateneo, ho orientato il mio percorso verso l’approfondimento delle dinamiche economiche, politiche e manageriali, con un focus particolare sulla Cina e sull’Asia.
Il tirocinio presso l’Unione Industriali di Torino mi ha offerto l’opportunità di comprendere da vicino il lavoro di supporto alle imprese del territorio, permettendomi allo stesso tempo di analizzare scenari geopolitici che incidono profondamente sulle strategie e sulle prospettive di crescita del mondo produttivo.
Prossimamente prenderò parte al programma CMBP – China Management & Business Program, che mi consentirà di sviluppare competenze avanzate in ambito interculturale e nella gestione del business con la Cina, attraverso un’esperienza diretta presso la Zhejiang University International Business School (ZIBS). In prospettiva, aspiro a lavorare nel settore della consulenza strategica, con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo di approcci efficaci per accompagnare le imprese nella loro crescita e nel loro adattamento a contesti globali complessi, come quello cinese