Cultura dell’innovazione: questione di creatività e disciplina

cultura dell’innovazione

Creare nella propria azienda una solida e  duratura cultura dell’innovazione è un obiettivo fondamentale di ogni manager o imprenditore che voglia restare sulla cresta dell’onda. Investire, acquistare macchinari e brevetti, adottare sistemi gestionali e metodologie sofisticate, assumere i migliori ingegneri e manager, collaborare con Università e centri di ricerca non è sufficiente a fare di una azienda una organizzazione dinamica e proiettata verso il futuro.

Innovazione e distruzione oltre che creazione

Innovare significa creare nuovi prodotti, nuovi processi, nuovi metodi: ma anche distruggere le pratiche consolidate. Abbandonare il consueto, la routine. Magari  mettere da parte le persone che rappresentano la “tradizione”. Come afferma Alejandro Jodorowski (il letterato, drammaturgo e regista cileno), la nostra eredità,  il patrimonio di ricchezza e di “sapere” che abbiamo accumulato sono un “tesoro”, la base sulla quale costruiamo il nostro destino. Ma sono anche un “fardello”, una trappola che ci impedisce di andare avanti e di evolverci. Se per l’individuo ciò si traduce nella difficoltà o impossibilità a realizzare  aspirazioni, sogni, insomma la propria vera natura, per una azienda  può essere esiziale.

L’esperienza della Harvard Business School

Dunque come creare una “cultura dell’innovazione” nelle aziende? Ci viene in aiuto un saggio dell’Harvard Business Review. Secondo l’autore, il prof. Gary Pisano (docente di business administration alla Harvard Business School)  la  “cultura dell’innovazione” viene spesso male interpretata. Molti manager pensano che sia sufficiente imbottirsi di “creativi” e “persone che pensano fuori dagli schemi” per generare innovazione: ma così non è. La cultura dell’innovazione è molto più una questione di disciplina, capacità gestionali e leadership che di pura e semplice “creatività”.

Accettare i fallimenti. Ma non l’incompetenza

Il prof.Pisano elenca  alcuni principi-guida per creare una cultura dell’innovazione nelle aziende. Anzi tutto, occorre avere un atteggiamento equilibrato verso il “fallimento”.  Né troppo punitivo né troppo tollerante. Poiché l’innovazione significa esplorare territori sconosciuti, una certa tolleranza per il “fallimento” deve essere accettata. Tuttavia, ciò non equivale a tollerare l’incompetenza. Al contrario, le organizzazioni volte all’innovazione devono dotarsi di standard qualitativi molto alti per il personale e i metodi di valutazione. Il  “fallimento” e gli errori devono nascere dagli inevitabili margini di incertezza e rischio connessi al processo innovativo, non da incompetenza, approssimazione, superficialità. Il processo che ha condotto al fallimento deve essere analizzabile, scomponibile e analizzabile:. Solo così possono fornire utili insegnamenti per il futuro: ci sono errori “improduttivi” e errori “produttivi”.

Sperimentazione con medtodo e disciplina

Un secondo principio è l’equilibrio tra propensione alla sperimentazione e disciplina. Sperimentare non significa procedere a casaccio, come un pittore che sparga a caso i colori sulla tela, e poi vedere cosa succede. La sperimentazione va inserita in una cultura fortemente disciplinata, dove gli esperimenti siano selezionati sulla base del potenziale di apprendimento, sulla base di rigorosi metodi di misurazione e validazione dei risultati. Gli esperimenti devono avere tempi e costi certi: se non funzionano li si abbandona, senza ripensamenti.

Sicurezza Psicologica e libertà di critica

Le aziende volte all’innovazione devono far sentire le persone psicologicamente sicure. Chi sbaglia non deve essere messo sotto accusa. Il diritto di critica è sovrano: nessun deve avere il timore di parlare liberamente ed essere anche molto critico su idee e progetti di altri, anche se gerarchicamente superiori. D’altra parte, la sicurezza psicologica opera in due direzioni. Ogni persona deve sentirsi libero di criticare ma anche di essere criticato, senza considerare la critica come un affronto o un’offesa personale. Il “rispetto” per gli altri non va confuso con la “accettazione”. Rispettare gli altri implica anzi il dovere di essere critici e di accettare le critiche. L’importante è mantenere salda la differenza tra critica verso le opinioni rispetto per la persona che le esprime.

Collaborazione non è ricerca del consenso

Naturalmente, le aziende “brutalmente oneste” che applicano questi principi possono essere luoghi “difficili” in cui lavorare. Il confronto (e talvolta lo scontro) non sono evitati. La mediazione e la conciliazione non sono obiettivi ricercati. La collaborazione tra le persone è essenziale per creare un ambiente favorevole all’innovazione. Ma “collaborazione” non va confusa con “consenso”. La ricerca del consenso ad ogni costo è un vero e proprio veleno per la rapidità del processo decisionale e per la gestione dei complessi problemi legati alla trasformazione e all’innovazione. Si può discutere in gruppi e comitati, ma alla fine qualcuno deve prendere decisioni e esserne responsabile. Non solo non c’è conflitto tra “responsabilità” e “collaborazione”, ma il principio di responsabilità favorisce la collaborazione e la ricerca del consenso.  Un leader non  può permettersi di isolarsi e non tenere in considerazioni le opinioni dei collaboratori se sa che sarà ritenuto personalmente responsabile degli errori.

Organizzazioni piatte e leader forti

Le organizzazioni permeate dalla cultura dell’innovazione sono anche culturalmente “piatte”. Lasciano alle persone molta autonomia decisionale, libertà di azione e di espressione. La competenza prevale sul ruolo e il titolo. Ma l’assenza di gerarchie non significa leadership debole. Anzi, paradossalmente, le organizzazioni “piatte” richiedono una leadership più forte. Né delegare significa che i leader debbano distaccarsi dai dettagli dei progetti o delle operazioni.  In una organizzazione piatta è quanto mai necessario applicare il Genchi Genbutsu, uno dei principi chiave del toyotismo, che richiede a tutti di “andare sul posto e toccare con mano”.

Un esempio di leadership forte (anzi molto forte) in una organizzazione piatta è stato Sergio Marchionne. Marchionne ridusse drasticamente i livelli gerarchici: fino a 46 persone con responsabilità decisionali riportavano direttamente a lui. Raggiungere l’equilibrio tra “gerarchie piatte” e leadership forte è un esercizio difficile. Per molti, significa cambiare mentalità: da “esecutori” a persone chiamate a prendere decisioni e assumersene la responsabilità.

L’opinione di un imprenditore dell’innovazione

Su questi temi abbiamo chiesto l’opinione di Alberto Barberis, giovane imprenditore torinese che sulla cultura dell’innovazione ha costruito  il suo successo. Alberto Barberis è il fondatore di Protocube, una  startup tecnologica operante nel settore della stampa 3D, entrata nel 2016 a far parte del gruppo multinazionale Reply spa.  A gennaio 2019 ha intrapreso un nuovo percorso imprenditoriale, creando Astar srl, società che si occupa di applicazioni di Intelligenza Artificiale in ambito sportivo.

La curiosità fonte di innovazione

Secondo Alberto Barberis la cultura dell’innovazione poggia su due pilastri. Anzi tutto, la curiosità. Un ambiente aziendale innovativo si realizza anzi tutto se ci sono persone curiose. Ma non basta: per utilizzare la curiosità individuale occorre garantire una “tranquillità emotiva” che faccia sentire gli individui liberi di sbagliare. L’attitudine al rischio va incoraggiata, i fallimenti non vanno puniti ma compresi e analizzati. Non si devono giudicare gli errori ma il metodo seguito, il processo che ha portato al successo o al fallimento. D’altra parte, la creatività non è improvvisazione, frutto del caso o dell’azzardo: nasce anzitutto dalla organizzazione.  La curiosità è in parte innata, ma può essere sviluppata, migliorata e valorizzata. Il processo che conduce all’innovazione deve sempre partire dall’analisi del mercato: occorre fissare obiettivi con scadenze precise e stabilire una precisa organizzazione del lavoro.

Responsabilità individuale vs.lavoro di gruppo

Un secondo principio è quello della responsabilità individuale.L’importanza del lavoro di gruppo è un mantra fin troppo ripetuto. L’organizzazione innovativa è quella che genera creatività partendo da una struttura variegata di saperi, che vanno dosati, armonizzati e integrati. All’interno del team il manager deve saper bilanciare le competenze delle persone per tirare fuori i diversi talenti. Il meglio di ciascun individuo, non la mediazione delle mediocrità. Il lavoro di gruppo non deve deresponsabilizzare gli individui. Il principio della responsabilità individuale va salvaguardato non per cercare “colpevoli” da punire (o “campioni” da premiare) ma per ricostruire con precisione i processi decisionali, correggerne gli errori o eventualmente replicarli. Il processo decisionale deve arrivare a un punto apicale: alla fine qualcuno deve prendere decisioni e assumersene la responsabilità.

La cultura dell’innovazione: creare un delicato equilibrio

In conclusione, creare, promuovere e alimentare una cultura dell’innovazione è un compito complesso. Richiede un attento bilanciamento di principi e esigenze spesso conflittuali. Lasciare briglia sciolta ai “creativi” può indurre a perdere focalizzazione, disperdendo tempo e risorse su troppi obiettivi, magari lontani dalla propria mission. Ma soffocare curiosità e attitudine al rischio può portare alla routine e all’appiattimento sul breve periodo. Il team work è un potente catalizzatore di energie. Ma può degradarsi a mortificazione delle energie individualità e passivo allineamento alla mediocrità.Non c’è una ricetta universale (per quanto segreta) per creare in una azienda una cultura che esalti la creatività, l’energia e la passione delle persone che vi lavorano. L’imprenditore è un alchimista che lavora con sostanze sempre diverse e in condizioni ambientali sempre diverse, per creare  la pietra filosofale dell’innovazione.

About Luca Pignatelli

Luca Pignatelli | Da quasi trent'anni mi occupo di ricerca economica presso l'ufficio studi dell'unione industriale di torino. in particolare mi sono occupato di indagini statistiche, macroeconomia, economia industriale, speech writing; da alcuni anni coordino la redazione di pubblicazioni economiche per le imprese associate. I miei studi universitari e la mia esperienza di lavoro in Africa con UNDP mi hanno orientato verso le tematiche economiche e geopolitiche internazionali.

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