Meritocrazia e produttività nelle aziende italiane

produttività, management, retribuzioni

Assenza di meritocrazia e modelli gestionali antiquati spiegano la bassa crescita della produttività in Italia.

ll ritardo di crescita dell’Italia

Il ritardo di crescita dell’Italia rispetto ai nostri concorrenti europei  è un fenomeno ben noto. Molto studiato è il legame con le inefficienze del sistema-paese. Meno la relazione con la rivoluzione ICT, i modelli di gestione aziendale e la mancanza di meritocrazia.

Tra il 1990 e il 2000, il tasso di crescita annuo del nostro paese è stato dell’1,6%, rispetto al 2,2% della Francia e al 2,3% della Germania. Nel decennio successivo, caratterizzato  da un generalizzato e marcato rallentamento per effetto della  “grande crisi”, il divario è rimasto più o meno inalterato: 0,3% di crescita media annua per l’Italia contro 1,2% della Francia e 0,9% della Germania. Negli anni di ripresa 2011-2017, il gap si è ancora ampliato: la Germania in forte ripresa (+1,8% medio), la Francia in difficoltà ma comunque in crescita (+1,1%), l’Italia in stallo.

 

meritocrazia, produttività

 

Il divario di produttività

La  crescita economica è strettamente associata  all’andamento della produttività del lavoro, del capitale e dei “fattori residuali” che misurano il progresso tecnico. Da almeno 20 anni l’Italia ha accumulato un forte ritardo anche da questo punto di vista . Tra il 1995 e il 2015, la produttività del lavoro è aumentata in Italia a un tasso medio annuo dello 0,3%, nettamente al di sotto della media dell’Unione Europea (+1,6%) e dei nostri partner. La produttività del capitale  ha registrato una significativa diminuzione (-0,9% medio annuo). La produttività totale dei fattori segna una diminuzione media annua dello 0,1%, a fronte di un incremento medio dello 0,5% del valore aggiunto e dello 0,6% dell’impiego di capitale e lavoro. Una rassegna degli studi sul ritardo di produttività italiano è stata pubblicata dalla   Fondazione Ergo

Interpretazioni del ritardo italiano

Sulle cause di questo differenziale di crescita si è scritto molto. Si è fatto riferimento a fattori diversi, di tipo macro o micro-economico:  inefficienze del sistema paese (burocrazia, tempi della giustizia, ostacoli all’impresa);  incapacità ad adattarsi alla globalizzazione, concorrenza low cost; fine delle svalutazioni competitive dopo l’avvento dell’euro; scarsa concorrenza domestica e posizioni monopolistiche; carenze del sistema bancario (difficoltà di accedere al credito, clientelismo); squilibri territoriali;  specializzazione settoriale sbilanciata su settori low tech;  dimensione aziendale troppo piccola; rigidità del mercato del lavoro e  conflittualità delle relazioni industriali; modelli di gestione aziendale “familistici” e scarsità di competenze manageriali; invecchiamento della forza lavoro;  basso livello di scolarità e competenze, elevato skill mismatch, carenza di forza lavoro qualificata; bassa spesa  per R&S e dispersione delle risorse;  scarsa cooperazione tra università e imprese, lenta diffusione dell’Information and Communication Technology. Una corretta diagnosi non è materia di semplice speculazione accademica ma è essenziale per  formulare terapie efficaci, rifuggendo da posizioni ideologiche con scarse basi fattuali.

Una analisi  liberista: il gap di meritocrazia

Tra i contributi più interessanti, un recente studio di Bruno Pellegrino (University of Los Angeles) e Luigi Zingales (University of Chicago-Stigler Center ) esamina i modelli gestionali e il ruolo della meritocrazia  nel determinare i risultati aziendali.  Gli autori si concentrano sui cambiamenti  intervenuti a partire da metà anni ’90, quando si è venuto a creare e rapidamente ampliato il divario di produttività tra Italia e altri paesi industriali. Un periodo caratterizzato dalla globalizzazione e dalla forte accelerazione delle tecnologie ICT, che hanno modificato le regole del gioco concorrenziale.

La tesi degli autori, esponenti della scuola liberista,  è che  il ritardo italiano deriva  soprattutto dalla incapacità da parte delle imprese di trarre pieno vantaggio dalla rivoluzione ICT. A sua volta, questa debolezza nasce da un “gap meritocratico”, ovvero dalla assenza di meritocrazia nella selezione e nella remunerazione dei manager. Secondo  Zingales e Pellegrino, le imprese hanno perpetuato un  modello  di loyalty based management basato sui rapporti personali, in cui  valutazione dei risultati e meritocrazia  avevano scarso peso. Un modello utile in passato per superare ostacoli finanziari (accesso al credito), burocratici (rapporti con le amministrazioni pubbliche) o politici (attività di lobby) , ma reso  anacronistico e anzi limitante  con l’avvento delle tecnologie ICT.

La rigidità della struttura retributiva italiana

La  rigidità della struttura retributiva italiana, in cui progressioni basate sulla meritocrazia sono rare,  è confermata da due studi recenti. Il    Rapporto CERVED PMI 2017    prende in esame la performance di quattro diverse tipologie di aziende  tra il 2007 e il 2016. A fronte di dinamiche della produttività molto diverse la crescita delle retribuzioni è stata del tutto analoga. Il gruppo delle imprese a più alto tasso di innovazione e investimento ha aumentato le produttività del 15,8%, mentre le retribuzioni sono cresciute del 19,3%; per il gruppo delle imprese a minore propensione all’innovazione e all’investimento la produttività è diminuita del 6,2% ma le retribuzioni sono aumentate del 16,8%.

Anche la  Indagine retributiva    dell’Unione Industriale  di Torino condotta su oltre 15.000 profili retributivi individuali , evidenzia una relazione  lineare tra livelli retributivi e anzianità aziendale (o età anagrafica), senza margini per progressioni basate sulla meritocrazia.

In sintesi, per rilanciare crescita e produttività del nostro paese è senza dubbio necessario correggere le molte inefficienze e distorsioni che caratterizzano il nostro paese. Altrettanto indispensabile è modernizzare i modelli gestionali e le politiche retributive verso una maggiore importanza di pratiche meritocratiche.

About Luca Pignatelli

Luca Pignatelli | Da quasi trent'anni mi occupo di ricerca economica presso l'ufficio studi dell'unione industriale di torino. in particolare mi sono occupato di indagini statistiche, macroeconomia, economia industriale, speech writing; da alcuni anni coordino la redazione di pubblicazioni economiche per le imprese associate. I miei studi universitari e la mia esperienza di lavoro in Africa con UNDP mi hanno orientato verso le tematiche economiche e geopolitiche internazionali.

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