Per secoli l’agricoltura è stata caratterizzata da una bassa produttività. A partire dagli anni Cinquanta, le nazioni hanno iniziato ad investire per favorire l’aumento dei raccolti e il crollo dei prezzi dei beni alimentari. Nel tempo, però, è parso chiaro come iniziare a produrre cibo in grande quantità a basso costo sia stato ingegnoso nel breve periodo, ma poco lungimirante. La sostenibilità del sistema alimentare, infatti, ne ha risentito.
Consumo di carne e sostenibilità
Gli animali da allevamento sono dieci volte più numerosi degli umani. Le sole emissioni alimentari ci potrebbero spingere oltre l’obiettivo di contenere a 1,5°C l’aumento della temperatura globale. Ormai, un terzo di tutte le terre arabili è destinato non alla produzione di cibo per l’alimentazione umana, ma a prodotti per la zootecnia. Nonostante gli ingenti danni ambientali, però, l’attuale sistema alimentare non è comunque né inclusivo né dalla parte dei piccoli coltivatori. La produzione è concentrata, con pochi attori dominanti, incapaci di nutrire l’umanità in modo eguale e sostenibile. L’agricoltura finalizzata alla produzione della carne, da sola, produce il 15% delle emissioni di gas serra.
L’aumento della popolazione e le sfide economiche, politiche e sociali hanno reso l’alimentazione a base di proteine animali insostenibile nel lungo periodo. Il livello di consumo pro capite di carne è raddoppiato rispetto al 1990, e la produzione è quadruplicata rispetto agli anni Sessanta. Globalmente consumiamo 350 milioni di tonnellate di carne all’anno.
Le alternative alle proteine animali
Le persone sono molto legate al consumo di carne, e, fino a poco tempo fa, non esisteva un valido sostituto. Negli ultimi decenni, invece, sono emerse diverse alternative:
- I prodotti a base di soia, che, però, hanno incontrato la resistenza dei consumatori a causa del costo elevato e del gusto poco appetibile.
- I prodotti a base di polvere di insetti, soggetti ad una resistenza per lo più culturale.
- La carne “allevata” in laboratorio, biologicamente identica a quella da allevamento, ma con un impatto ambientale notevolmente ridotto. Per la sua creazione vengono utilizzate le cellule staminali. Si stima che da 10 cellule suine sia possibile produrre 50.000 tonnellate di carne. Il processo comporta un risparmio energetico del 45% e uno sfruttamento del suolo molto contenuto.
- Le proteine microbiche, ovvero la biomassa proteica derivata da batteri, lieviti, funghi e alghe. La sostituzione di un quinto della carne bovina con “carne” di funghi entro il 2050 potrebbe dimezzare la deforestazione annuale e le emissioni di CO2. Inoltre, la “carne” microbica sarebbe un’alternativa più sana e con un contenuto proteico maggiore rispetto alla carne rossa. Essa permetterebbe di prevenire malattie legate all’alimentazione e sarebbe meno sensibile alla contaminazione da batteri comuni di origine alimentare. Di conseguenza, richiederebbe anche un minor trattamento antibiotico, contribuendo così a ridurre il problema dell’antibiotico-resistenza nell’industria animale.
Promozione e regolamentazione dei prodotti alternativi alla carne
Il mercato delle proteine alternative a quelle animali non può essere sviluppato senza misure finalizzate a promuovere una produzione alimentare sana e sostenibile. A tal fine, l’UE ha introdotto una serie di politiche volte a facilitare l’accesso ai mercati e ai finanziamenti per le piccole e medie imprese. Per dare origine ad un profondo cambiamento, però, sarà necessario comprendere le abitudini dei consumatori, investire nell’educazione e sensibilizzare verso scelte più consapevoli e informate.
Nel contesto europeo, è inoltre necessario considerare il potenziale impatto che le carni allevate in laboratorio e le alternative vegetali avrebbero sul settore agricolo, sull’economia e sull’occupazione. L’agricoltura e la produzione alimentare rappresentano il 4,4 % del PIL dell’UE e l’8,3 % dell’occupazione totale. I decisori dovrebbero riconoscere e perseguire i benefici ambientali delle alternative alla carne da allevamento. Allo stesso tempo, però, dovrebbero anche farsi carico di guidare la transizione degli agricoltori verso colture per il consumo umano o la produzione di biocarburanti. Inoltre, dovrebbe essere garantita un’approfondita informazione dei consumatori.
L’opinione dei consumatori
Un cittadino europeo su due è consapevole degli impatti ambientali della produzione intensiva di prodotti animali e non esclude di modificare la propria dieta in senso più sostenibile. La stessa Commissione Europea sta mettendo in dubbio il proprio finanziamento a campagne pubblicitarie di prodotti a base di carne. Per questi ultimi, infatti, sono stati spesi 252 milioni di euro dei fondi comunitari in cinque anni.
In Italia, negli ultimi 10 anni, la quantità di carne pro capite consumata ogni anno è passata da 81 a 76 chili. Il report di Essere Animali, però, riporta un dato interessante. Se, da una parte, il consumo di carne cala, dall’altra aumenta il numero di capi allevati. Questo dato è spiegato dal rialzo della quantità di pollame allevato, con un +10% nel 2019 rispetto al 2010. Tale aumento è dovuto al calo di potere d’acquisto delle famiglie, alla preoccupazione per i potenziali rischi legati al consumo di carne rossa, ma anche all’emergere di una qualche forma di empatia specista nei confronti degli animali.
La sostenibilità sarà sicuramente la chiave di volta per il futuro del settore. La crescita della consapevolezza del consumatore spinge il mercato nella direzione di un sistema alimentare più sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale.
Plant-based meat: un mercato in crescita
Il mercato della plant-based meat produce alternative vegetali alla carne, provando a riprodurne sapore e consistenza. La sua crescita è tra le più promettenti del comparto alimentare, con un valore che potrebbe superare i 108 miliardi di dollari entro il 2027. Leader del settore, Beyond Meat ha fondato il suo brand e la sua strategia di marketing sulla proposta di fonti proteiche vegetali. L’azienda ha investito per lo più nel digitale e ha portato avanti numerose partnership strategiche. Inoltre, essa è impegnata in iniziative finalizzate a combattere la precarietà alimentare e a sensibilizzare alla sostenibilità.
Il futuro del sistema alimentare in un mondo globalizzato
L’impatto ambientale della produzione di carne sarebbe già un motivo più che sufficiente per ridurne il consumo, ma la guerra in Ucraina ha messo in evidenza un altro aspetto su cui il settore zootecnico ha un impatto diretto. La sicurezza alimentare sarà, insieme al cambiamento climatico, la nuova grande sfida di questo secolo. L’Ucraina è un importante esportatore di cereali, e la preoccupazione circa la loro reperibilità ha innescato forti dinamiche speculative. D’altro canto, la crisi del grano ha posto degli interrogativi sull’utilizzo delle risorse europee. Più del 60% dei cereali commercializzati in Europa è destinato all’alimentazione animale (162,5 milioni di tonnellate), e solo il 22% a quella umana.
Secondo le previsioni di Greenpeace Italia, sarebbe sufficiente una riduzione dell’8% degli animali allevati in Unione Europea per risparmiare abbastanza frumento da compensare il deficit previsto a seguito dell’invasione russa. È necessario che le scelte politiche siano lungimiranti e meno utilitaristiche. Le istituzioni e le associazioni di categoria devono comprendere che le misure ambientali non sono un ostacolo, ma uno strumento fondamentale per il sistema alimentare.
Conclusioni
La crescita del mercato di prodotti plant-based, la crisi alimentare e l’emergenza climatica sembrano evidenziare tutte una medesima necessità per il futuro: la sostenibilità. L’attuazione di misure politiche lungimiranti richiede una revisione del sistema alimentare. Rinunciare in massa al consumo di carne non è realistico e non è un’opzione percorribile. Ricercare alternative di lungo periodo per un sistema che sia economicamente, socialmente e ecologicamente sostenibile, è compito delle istituzioni e dei policy maker. I cittadini, da soli, non possono fare molto. L’opinione pubblica ha reso noto il proprio punto di vista e il mercato si sta muovendo nella direzione di accontentare consumatori sempre più consapevoli. Ora, sta alla politica agire con misure concrete contro la crisi alimentare e ambientale.
Questo post è stato redatto da Denise Arneodo, studentessa del corso di laurea magistrale in Scienze Internazionali (Studi Europei) presso l’Università di Torino, nell’ambito di uno stage presso l’Ufficio Studi Economici dell’Unione Industriali. Ecco come si presenta.
Sono una studentessa magistrale di Scienze Internazionali e ho una laurea triennale in Filosofia. Appassionata di geopolitica ed attualità, scrivo articoli per un’associazione culturale della mia città, Cuneo, e sono volontaria di diverse realtà locali. Credo nella forza della collaborazione, e per questo supporto fermamente il progetto Europeo. L’opportunità di svolgere questo stage mi ha permesso di approfondire la mia passione per la ricerca e di sperimentare il lavoro in team. In futuro mi piacerebbe coltivare la mia passione per la scrittura di articoli, con particolare attenzione all’aspetto della sostenibilità ambientale, economica e sociale.