La Plastic Tax è veramente lo strumento giusto per migliorare la qualità dell’ambiente e ridurre la dispersione di plastica – un obiettivo sul quale non può che esserci convergenza di intenti? Oppure è una misura demagogica pensata per aumentare il gettito che avrà come effetto sicuro quello di danneggiare gravemente l’intera filiera produttiva e ben pochi effetti positivi ambientali?
La trasformazione del nostro sistema verso un’economia circolare richiede una progettualità a lungo termine e consistenti investimenti per agevolare il ripensamento di strumenti e modelli di business secondo il paradigma della green economy. Un passaggio essenziale per favorire una trasformazione davvero efficace è “giocare in squadra” e sostenere nuove forme di dialogo e di collaborazione costruttiva tra mondo produttivo, Istituzioni e cittadini.
Il primo esempio di questa “coscienza in evoluzione” è stato il nascere, da una parte, di movimenti planetari che hanno risvegliato le coscienze degli ambientalisti e dei giovani, ma che si nutre di uno storytelling spesso impreciso e fuoriviante.
Al momento, la plastica non è sostituibile da un giorno all’altro, per molti prodotti e molti mercati di riferimento e ridurre la messa in consumo non risolve di fatto le difficoltà (normative, di dotazione impiantistica, scientifiche ed etiche) connesse alla corretta gestione del suo fine vita.
Cavalcare il consenso, il difetto italiano
In Italia, la nostra classe politica ha cominciato a muoversi scompostamente cercando di guadagnare consenso, voti e visibilità lanciando quella che possiamo definire una vera e propria “battaglia contro la plastica”, concretizzatasi nella famigerata “plastic tax” inserita nella manovra all’esame del Parlamento che, secondo Confindustria “non comporta benefici ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti e rappresenta unicamente una leva per rastrellare risorse”.
Una tassa di 1 euro al chilo che, salvo modifiche ogni giorno “sbandierate” dai diversi schieramenti politici, dal prossimo anno si applicherà alla plastica contenuta nei manufatti con singolo impiego, in sigla Macsi e, in pratica, sulla quasi totalità degli imballaggi in plastica.
Dal provvedimento il Governo intende portare a casa circa 2 miliardi di euro l’anno e dovrebbero essere esentati gli imballaggi biodegradabili e compostabili secondo lo standard EN 13432 e, forse, quelli prodotti totalmente con materiale riciclato.
Il fronte delle imprese e delle associazioni di categoria che denunciano il danno derivante dall’introduzione di una tassa sugli imballaggi in plastica è molto esteso: va da Federalimentare a tutte le associazioni nazionali della filiera della Gomma Plastica: i produttori (PlasticsEurope Italia – Federchimica), i trasformatori (Unionplast – Federazione Gomma Plastica) e i costruttori di macchine e tecnologie di trasformazione (Amaplast).
Insieme hanno raccolto in un manifesto le ragioni dell’intera filiera produttiva, che sarà fortemente danneggiata dall’introduzione di questa tassa.
Fanno eco a questa posizione le organizzazioni dei consumatori e i sindacati, che temono la perdita di posti di lavoro (ricordiamo che le aziende italiane che producono imballaggi in plastica nel nostro Paese sono 5.000 con un fatturato di circa 15 Miliardi di Euro). Una preoccupazione unanime e condivisa.
Di cosa parliamo quando parliamo di imballaggi di plastica
Sono “imballaggi primari” tutti i rivestimenti che confezionano il singolo prodotto pronto al consumo, come le bottigliette e le confezioni dei prodotti alimentari e non; abbiamo poi gli “imballaggi secondari” che permettono di raggruppare un certo numero di unità di vendita, come le confezioni che avvolgono le sei bottiglie di minerale; per chiudere con gli “imballaggi terziari” che evitano la manipolazione e i danni connessi al trasporto dei materiali prodotti dalle imprese di ogni settore.
Gli obiettivi di questa imposta saranno non solo le bottiglie, le buste e le vaschette monouso, ma anche il tetrapak del latte, i contenitori dei detersivi, il polistirolo, i tappi, le etichette e i manufatti in plastica usati per la protezione o per la consegna delle merci (packaging per elettrodomestici, computer e altri prodotti), i rotoli pluriball e le pellicole e i film estensibili.
La tassa sulla plastica colpisce l’intera comparto industriale
Oggi un chilo di plastica (come materiale in input dei processi produttivi) ha un costo medio di 0,90 €, al quale va aggiunto il valore medio in € del CAC (contributo ambientale CONAI) al chilo pari 0,33 €, per un totale di 1,2 € al chilo. A questo ammontare andrebbe sommata la Plastic tax del valore di 1 € al chilo che farebbe lievitare del doppio il costo (2,20 € al chilo), il tutto da maggiorare di IVA.
Questa imposta dovrebbe scattare da metà 2020 e significherà un aumento del 110% dei costi per l’intera filiera della Plastica, dai produttori fino al consumatore finale. Federconsumatori stima infatti che ogni famiglia dovrà far fronte ad una maggiorazione della spesa di 138,77€ annui, le imprese associate a Confindustria parlano di circa 110 Euro annui.
La #PlasticTax significherà un aumento del 110% dei costi per l’intera filiera della Plastica dai produttori fino al consumatore finale Share on XUna misura insostenibile per le imprese delle bibite e delle acque minerali, che oggi pagano il PET circa 900 Euro a Tonnellata e che domani saranno gravati di una tassa di 1.000 Euro a Tonnellata. Sarebbe il primo caso di un’imposta che vale più del bene che colpisce.
Ma gli effetti negativi di questa imposta impatteranno pesantemente anche sull’industria chimica e su tutti i settori utilizzatori di imballaggi, come ad esempio il comparto alimentare e delle bevande o quello dei cosmetici con un aumento medio di circa il 10% del prezzo di prodotti di larghissimo consumo e, in alcuni casi, come quello delle acque minerali, del 50-60% del prezzo al consumo sui primi prezzi.
La #Plastictax comporterà un aumento medio di circa il 10% del prezzo per alimentari e cosmetici e del 50-60% per le acque minerali Share on XIl problema è italiano, ma il nostro territorio che conseguenze si troverà a fronteggiare?
Il Piemonte è una delle regioni “storiche” del centro nord dove si produce gomma e materie plastiche.
Il Gruppo Gomma Plastica della nostra Unione Industriale è costituito da più di 60 Aziende che rappresentano il principale “Polo” di produzione della gomma-plastica del nostro Paese con una forza lavoro di circa 8.000 addetti complessivi.
Un “Polo” costituito dai principali player mondiali di componenti automotive, pneumatici e numerose Piccole e Medie Imprese che rappresentano l’eccellenza del Made in Italy nella produzione di cinghie, cavi, imballaggi, lastre e articoli tecnici in gomma e plastica per agricoltura, casa, edilizia e industria.
Il problema ci tocca da vicino, indubbiamente.
E’ una tassa contro l’impresa che torna ad essere nell’immaginario collettivo “brutta, sporca e cattiva”
Il Governo attualmente in carica sostiene che “la misura ha finalità ambientali”. In realtà, a fronte di queste penalizzazioni, l’interesse delle imprese nei confronti del settore del riciclo della plastica è destinato a ridursi pericolosamente perché antieconomico. Inoltre, la plastic tax, di fatto, colpirà anche alcuni imballaggi ibridi contenenti materiale riciclato (formalmente non tassato), andando a penalizzare gli enormi sforzi che le imprese stanno compiendo per completare la transizione verso l’economia circolare.
E sul fronte del riciclo si rischia “l’effetto Domino” perché le imprese del settore pagano il contributo CONAI distribuito ai Comuni per garantire la raccolta differenziata.
Di fatto si sottraggono alle imprese risorse ben superiori a quelle necessarie per la riconversione dell’intera filiera.
Con la #PlasticTax si sottraggono alle imprese del settore risorse ben superiori a quelle necessarie per la riconversione dell’intera filiera. Share on XIl cane che si morde la coda?
Penalizzare prodotti e produzioni, considerate la causa di tutti i mali del pianeta, non va a risolvere in maniera realistica il problema. Per realizzare un vero sviluppo sostenibile è necessario favorire il completamento della transizione verso il modello economico circolare, attuando una seria politica industriale, condivisa e credibile, di incentivi e aiuti per le imprese virtuose.
Torniamo al postulato iniziale: L’industria italiana sta investendo da tempo nell’economia circolare
La verità è che la vera economia circolare la stanno da tempo facendo le nostre imprese, collegando l’ecologia al profitto. L’industria italiana si è guadagnata la leadership europea attraverso un minor utilizzo delle materie prime, maggiore efficienza produttiva e più materiale riciclato nel prodotto finito.
L’Italia è oggi il più importante distretto industriale del riciclo in Europa e quasi il 93% degli imballaggi che si producono e utilizzano nel nostro Paese vengono recuperati. #PlasticTax Share on X
I rifiuti sono una riserva di risorse che, se opportunamente gestita e valorizzata, può garantire un approvvigionamento sostenibile e continuo negli anni di materiali ed energia.
Per non vanificare gli sforzi fin qui espressi, le imprese hanno dunque avviato un confronto con il Governo e con i soggetti interessati per studiare nuove misure che non passino per forza attraverso un inasprimento fiscale e nuovi divieti. L’obiettivo: farsi interpreti di un nuovo approccio culturale e di un modello da consegnare al territorio e alle generazioni future che coniughi ecologia, benessere, ricchezza e l’aumento progressivo della competitività.
Il Governo vuole davvero proteggere l’ambiente e farlo in modo credibile?
Provi allora a immaginare un piano concreto di incentivi per le imprese virtuose e la smetta di inseguire “istinti ed emotività” contro un materiale insostituibile.