Quale ruolo per l’individuo, la società, la politica di fronte agli effetti della post globalizzazione?
Dominati dall’incertezza post globalizzazione
In fasi come questa si vive dominati da un senso di pesante incertezza riguardo al futuro e di sostanziale smarrimento. È in questi momenti che bisogna avere la capacità ed il coraggio di fermarsi e chiedersi che cosa realmente stia accadendo. E se, come è probabile, la risposta è plurima e confusa, allora è necessario dare vita ad uno sforzo di analisi supplementare e promuovere una riflessione, scientifica e filosofica, facendo leva sulle migliori risorse intellettuali, possibilmente voci fuori dal coro.
Ciò che ci condiziona e ci limita nella nostra capacità di visione è che non sappiamo più quale siano i ruoli dell’individuo, della società, della politica di fronte agli effetti della post globalizzazione. Questa è la ragione delle nostre paure e delle tensioni che viviamo con un senso di fastidio e di inadeguatezza. Percepiamo la stanchezza delle nostre società e, sebbene non ci faccia piacere, siamo costretti, nostro malgrado, a giustificare parzialmente comportamenti di fuga o di rifiuto che confliggono con la nostra sensibilità e la nostra cultura.
Fiducia nel capitalismo
In questa condizioni qualcuno sarebbe anche tentato di porsi un altro genere di domanda e cioè se e quanto potrà durare questo modello di sviluppo; se, in definitiva, il capitalismo sia in grado di proseguire la sua cavalcata, in presenza di uno sviluppo più omogeneo, dunque con minori risorse da sfruttare a proprio vantaggio.
Secondo me sì, il capitalismo avrà vita lunga e prospera, per vari motivi. Innanzitutto “malgrado “la crescita interessi soprattutto i Paesi poveri ci sono ancora molte differenze e dunque c’è ancora molto margine. In secondo luogo nelle società economicamente più mature la polarizzazione della ricchezza offre altri spazi e poi – e questa è la ragione nuova e fondamentale che Marx non aveva previsto – perché l’innovazione tecnologica crea sempre nuove e straordinarie opportunità di sviluppo. Accantonerei dunque questa ipotesi “scolastica, utile solo per baloccarsi in analisi inconcludenti.
Post Globalizzazione la crisi d’identità riguarda le economie mature
La necessità, l’urgenza è invece quella di capire come riannodare i fili di uno sviluppo troppo fragile e troppo spesso interrotto che riguarda le economie mature e che produce non indifferenti contraccolpi anche in termini d’identità sociale.
La lunga stagione di crisi pone dunque il problema su quale possa essere il modello socio economico in grado di fornire risposte adeguate alla perdurante instabilità.
Evidentemente, non più la mortificata ed impoverita middle class, che da sempre ha alimentato, da un lato democrazia e welfare e, dall’altro un modello di crescita economica diffusa ed abbastanza equilibrata.
Quale soggetto può essere l’interprete di questi tempi convulsi?
Val la pena di sottolineare che il vuoto e il disordine sono terreno fertile per un recesso verso modelli che traggono consenso su basi etniche e nazionaliste, attingendo ad un repertorio anti storico.
Ma qui si tratta, al contrario, di capire come gestire la dimensione globale e la modernità. Credo quindi dovremmo interrogarci a fondo su quali saranno i Megatrends dei prossimi dieci anni, assegnando un’attenzione particolare al ruolo propulsivo delle tecnologie. Dieci anni è un tempo ampio perché oggi i cambiamenti avvengono molto in fretta, a velocità doppia o tripla rispetto anche solo a vent’anni fa e, nei Paesi in crescita, la velocità del cambiamento è ancora maggiore.
Guardare avanti, cercare di capire come sarà il nostro futuro, cercare di intercettare la direzione che assumerà il progresso è un esercizio che ci sottrae alla passività e ci restituisce l’impegno di governare il cambiamento del quale, oggi, mi pare siamo invece soggetti inerti.
La volontà di capire, il tentativo di razionalizzare appartengono alla nostra cultura occidentale e illuminista. Dovremmo quindi promuovere e partecipare a questo sforzo per uscire dall’empasse che ci sta facendo lentamente assumere una deriva declinante, soprattutto, vissuta con un’inaccettabile indifferenza.