Sulla base del disegno di legge attualemte in Parlamento ecco alcune valutazioni sul Salario minimo legale interpretando la definizione dell’articolo 2 dell’A.S. N°658. Il trattamento economico minimo (TEM o Salario minimo legale) dovrebbe essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e non dovrebbe essere di valore inferiore a quello previsto dal CCNL. Il disegno di legge indica inoltre un valore non inferiore a 9 €/h lordi.
Ma un Salario minimo di 9 €/h è economicamente sostenibile?
La definizione di Trattamento Economico Minimo (TEM) o è piuttosto aleatoria. Correlarla con le modalità di calcolo delle retribuzioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) risulta piuttosto complicato. Tuttavia, una possibile interpretazione individuerebbe i 9 €/h quale salario orario equivalente alla retribuzione minima annuale.
Le simulazioni fatte su 11 dei principali contratti adottati dalle imprese industriali o di servizi, mettono a confronto i 9 €/h con il salario garantito dai CCNL per i livelli di inquadramento più bassi. L’analisi evidenzia che anche i contratti più onerosi sarebbero fuori legge. Nello specifico il contratto alimentare e quello chimico arrivano a garantire 8,80 €/h all’ultimo livello di inquadramento, mentre tutti gli altri si attestano sopra i 7 €/h.
Questa soluzione prospettata non è sostenibile da un punto di vista economico. I contratti collettivi sarebbero obbligati a rivedere verso l’alto tutti i minimi salariali di una percentuale variabile. Per esempio, i contratti alimentare e chimico del 2,2%, il metalmeccanico e il terziario del 19-20%, fino al 38% dei servizi ambientali integrati (S.A.I.). Questo minerebbe profondamente la competitività di costo delle nostre imprese.
Ecco un’ipotesi alternativa per la definizione di un salario minimo legale
Focalizziamo l’attenzione sul salario minimo definibile come retribuzione oraria minima (ROM). Per fare questo è utile basarsi su alcuni valori oggettivi di garanzia, attualmente in vigore, definiti dalla legge: l’indennità di CIG minima, il reddito di cittadinanza (RdC) e l’indennità NASpI media su 12 mesi.
Proviamo a fare un esercizio insieme:
L’Indennità di CIG minima (Cassa Integrazione Guadagni) è pari a 993,21 €/mese lordi per redditi fino a 2.148,74 €/mese. Se trasformiamo l’indennita in valore orario, applicando il divisore standard di 173 (40 h/settimanali x 4,33 settimane al mese), si ottiene un importo di 5,74 €/h.
Guardiamo adesso il Reddito di Cittadinanza ipotizzando di percepire 780 €/mese netti per 12 mensilità. L’importo lordo medio mensile equivalente è pari a 818 € circa. Dividendo questo valore per il divisore 173 si ottiene un valore orario di 4,73 €/h.
Analizziamo anche l’Indennità di NASpI (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego) . Ipotizzando di percepire il massimo della NASpI nei primi 3 mesi (1.328,76 €) e di fruire dell’ammortizzatore sociale per 12 mesi, l’importo lordo medio mensile dell’indennità sarebbe pari a 1.190,63 € che, rapportato al solito divisore orario 173, equivale a 6,88 €/h.
Questi tre valori soglia rappresentano in generale il punto più basso di remunerazione oraria attualmente presenti nella legislazione italiana. Risulta evidente che se il salario minimo fosse impostato ad un livello inferiore, tutti i titolari di questi trattamenti non sarebbero stimolati ad una effettiva ricerca dell’occupazione. Pertanto la retribuzione oraria minima (ROM) non potrebbe essere inferiore al valore più elevato dei tre, ovvero 6,88 €/h.
Per verificare l’impatto economico (sugli 11 contratti collettivi presi a riferimento) abbiamo messo a confronto un’ipotetica ROM (Retribuzione Oraria Minima) di 7 €/h con il salario orario derivante dalla retribuzione più bassa di ciascun contratto. L’analisi mostra che tutti i contratti sarebbero al di sopra di questa soglia (7 €/h). L’unica eccezione è il contratto dei Servizi Ambientali Integrati (SAI) che è in attesa di rinnovo dal 2013 e pertanto non allineato.
Ipotesi: 7€/h sono sostenibili rispetto ai competitors europei?
In realtà da un confronto internazionale che svolgiamo ogni due anni, basato sui dati retributivi erogati dalle imprese nei propri insediamenti produttivi all’estero, risulta che anche un valore di 7 €/h sarebbe alto per il nostro Paese. Rapportando, ad esempio, il salario minimo legale tedesco (9,2 €/h) al livello retributivo minimo pagato in Germania, possiamo evidenziare un peso del 55% del salario legale rispetto ai valori più bassi di mercato. Ripentendo lo stesso esercizio in Italia, quindi rapportando i 7€/h alle retribuzioni più basse, si evince un’incidenza molto più alta, intorno al 68%. Un’impatto di questo tipo portrebbe portare un appiattimento verso il basso dei salari medi. Le imprese infatti, dovendo garantire minimi troppo alti per i profili più bassi, non avrebbero sufficienti risorse per le politiche retributive. Azioni funzionali a premiare il merito ed i risultati conseguiti a livello sia collettivo sia individuale dalle risorse più produttive e strategiche.