TAP: il gasdotto della discordia tra geopolitica e localismi

TAP: un gasdotto di 3.500 km. al centro di dispute localistiche e elettorali. Gli obiettivi strategici di un’opera che vuole ridurre la dipendenza energetica dalla Russia.

Tra le grandi opere in corso di realizzazione nel nostro Paese, il gasdotto Trans Adriatic Pipeline (TAP) è una di quelle più controverse e discusse. In Italia il dibattito si concentra su questioni localistiche e elettorali, perdendo di vista obiettivi strategici e caratteristiche del gasdotto.

TAP: un’altra grande opere ostaggio delle ideologie

Tra le grandi opere in corso di realizzazione nel nostro Paese, il grande gasdotto denominato Trans Adriatic Pipeline (TAP) è una di quelle più controverse e discusse.  Con periodicità regolare la politica si occupa sulla TAP e per alcuni giorni si assiste a discussioni e polemiche sul futuro di questo ambizioso progetto. Lo scontro più recente di questi risale a poche settimane fa, con protagonisti Movimento 5 Stelle (che del No alla Tap aveva fatto una bandiera elettorale in Puglia) e Lega (favorevole). Come spesso accade nel nostro paese, finalità e caratteristiche dell’opera passano in secondo piano rispetto a motivazioni  ideologiche e elettoralistiche. Le vere questioni in gioco (ad esempio gli effetti sulla dipendenza energetica dell’Italia e dell’Europa) sono confuse in mezzo a dispute localistiche e parrocchiali, alimentate da falsi problemi sollevati ad arte. Come il (presunto) danno derivante dal trapianto di 200 ulivi (sugli oltre 60 milioni di ulivi presenti in Puglia). Il rischio (anzi la certezza) è di non inquadrare in una prospettiva abbastanza ampia la questione. In questo post cercheremo di chiarire alcune questioni di fondo.


Southern Gas Corridor: un gasdotto lungo 3.500 km.

 Il TAP è il tratto terminale del gasdotto denominato Southern Gas Corridor (SGC), una delle più importanti iniziative in materia di energia proposte dalla Commissione Europea nell’ultimo decennio. L’SGC nasce dall’unione di tre gasdotti (South Caucasus Pipeline Extension (SCPx),  Trans-Anatolian Pipeline (TANAP) e, infine, la Trans-Adriatic Pipeline (TAP) ). SGC  collegherà ai territori dell’Unione Europea il giacimento di gas Shah Deniz II,  nelle acque azere del Mar Caspio. Uno dei più grandi  giacimenti di gas naturale al mondo, con riserve stimate in 1,2 trilioni di metri cubi di gas.  


Un percorso dal ma
r Caspio alla Puglia

Come si può osservare dalla mappa, il primo tratto del gasdotto SGC, il SCPx, attraversa i territori di Azerbaijan e Georgia. Il TANAP percorre gran parte della Turchia. Il TAP ( sezione del gasdotto ancora in costruzione, contrariamente ai primi due tratti dell’opera)  attraversa il nord della Grecia e la parte meridionale dell’Albania, per poi giungere nei pressi di San Foca, in Puglia, dopo aver percorso un breve tratto sottomarino nel Mar Ionio. Il gasdotto attraversa sei paesi, coprendo una distanza pari a quasi 3.500 chilometri: uno dei più imponenti progetti energetici a livello globale.


Un gasdotto erede del Nabucco

L’idea di servirsi dei giacimenti di gas del Mar Caspio per soddisfare la domanda europea non è nuova. Nel 2002 l’Unione Europea aveva puntato  sul Nabucco-West Pipeline. Un imponente gasdotto, lungo poco meno di 3.900 chilometri, che, partendo dal gas field di Shah Deniz avrebbe dovuto attraversare la Turchia, percorrere i territori di Bulgaria, Romania ed Ungheria e, giunto in Austria, immettere il gas nel resto del continente. Nonostante le altissime aspettative dietro al progetto,   che ricevette una notevole copertura mediatica ed un entusiastico supporto dei policymaker, questo venne definitivamente cancellato nel 2013. Il consorzio di Shah Deniz, guidato da British Petroleum, preferì infatti servirsi del TAP per trasportare il gas azero in Europa. 


Un progetto interamente finanziato dai privati

Al contrario di altre grandi opere, il TAP è un’opera interamente privata: non vi è stato né vi sarà alcun esborso per l’Italia. Il gasdotto è finanziato da  un consorzio che ha come azionisti la società italiana Snam (20%), la britannica Bp (20%), l’azera Socar (20%), la belga Fluxys (19%), la spagnola Enagàs (15%) e la svizzera Axpo (5%). Il giacimento offshore di Shah Deniz (noto come Shah Deniz 2) ha invece tra i propri  azionisti la britannica Bp (28,8 %), la turca Tpao (19%), l’azera Socar (16,7%), la malese Petronas (15,5%), la russa Lukoil (10%) e l’iraniana Nico (10%).


Il fabbisogno energetico dell’Europa

Negli ultimi decenni l’Unione Europea si è spesa con grande determinazione per sostenere tale opera.  Le motivazioni sono  legate alla sicurezza energetica del Continente e toccano i rapporti tra Russia e paesi europei. Nel 2016 (ultimi dati disponibili) il fabbisogno energetico europeo è stato pari a circa 1.650 milioni di tonnellate oil equivalent (TOE). Il 34% del fabbisogno energetico europeo è soddisfatto dal petrolio; il 16% da combustibili solidi (principalmente carbone); il 14% da energia nucleare, il 13% da fonti rinnovabili (soprattutto energia idroelettrica); il 22% da gas naturale. Le differenze tra i paesi europei sono molto ampie. Nel caso dell’Italia,  ad esempio, sale il peso del petrolio (circa un terzo della domanda) e del gas naturale (un ulteriore terzo), ma sono importanti anche le fonti idroelettriche (15% circa). In Europa l’Italia è uno tra i paesi che maggiormente dipende dal gas naturale.


..e importa oltre il 50% del suo fabbisogno energetico

A fronte di una produzione interna pari a 755 milioni TOE nel 2016, il tasso di dipendenza energetica (ovvero la percentuale di energia importata sul totale consumato) della UE è pari al 54%.  Più nello specifico, circa l’88% del petrolio, il 70% del gas naturale ed il 40% di combustibili solidi consumati provengono dall’estero.


Aumenta l’importanza del gas naturale

L’importanza del gas naturale  è in continuo aumento, mentre si ridimensionano carbone e petrolio. Si stima che nel 2040 il peso combinato delle due fonti sarà calato dall’attuale 51% al 32%, mentre il peso del gas naturale sarà salito dal 24 al 27%. Quasi il 75% del gas naturale consumato dai paesi europei viene importato. L’esaurimento dei giacimenti europei e l’aumento dei consumi tendono ad aumentare la dipendenza europea dalle forniture estere: nel 2030 il tasso di dipendenza salirà a sfiorare il 90%.


La Russia principale fornitore di gas

Principale fornitore europeo di gas naturale è la Russia, paese da cui proviene direttamente o indirettamente (attraverso l’Ucraina) circa il 40% delle forniture. Peraltro, la Russia fornisce all’Europa anche un terzo del petrolio e il 30% dei combustibili solidi. Altro paese importante per l’approvvigionamento di gas naturale è la Norvegia (31%), mentre con quote intorno al 10% o inferiori seguono Bielorussia, Qatar, Tunisia, Algeria, Nigeria, Marocco. La Russia dispone delle più grandi riserve di gas naturale al mondo, stimate in 47.800 miliardi di mc.


Nord Stream: il principale gasdotto tra Russia e Europa

Dalla Russia il gas naturale raggiunge i paesi europei attraverso diversi gasdotti. Il più importante, anche in prospettiva, è il “Nord Stream” (NS) che collega la città baltica di  Vyborg a Greifswald  in Germania con due linee sottomarine parallele, inaugurate nel 2011 e 2012. Lungo oltre 1.200 km., il NS è il più lungo gasdotto marittimo al mondo e ha una capacità annua di 55 miliardi di mc/anno. Dai giacimenti siberiani della penisola di Yamal e di Nadim Pur Taz, il percorso via NS verso la Germania è più breve di 2.100 km. rispetto al Southern Corridor attraverso l’Ucraina, con forte risparmio di costi e energia.


Il Nord Stream 2 raddoppia la capacità di trasporto

I giacimenti siberiani sono particolarmente ricchi e promettenti. Il solo Bovanenkovo gas field dispone di riserve per 4,9 trilioni di mc:  il doppio delle riserve conosciute dell’intera Unione Europea. Per sfruttare al meglio queste enormi potenzialità,  la Russia sta realizzando il raddoppio del gasdotto (Nord  Stream 2), che porterà la capacità di trasporto a 110 miliardi di mc/anno. La società realizzatrice è una JV tra  Gazprom (l’azienda pubblica russa  dell’energia) e  cinque compagnie europee, ciascuna con il 10%: l’anglo-olandese Royal Dutch Shell, le tedesche Uniper e Wintershall (gruppo Basf), l’austriaca OMV e la francese Engie (ex GDF Suez). Il consorzio ha finora speso 6 miliardi di euro sui 9,7 miliardi preventivati.


NS2: un progetto controverso

Il progetto NS2  è politicamente controverso, al centro di un acceso dibattito nella UE e negli Stati Uniti. Il 12 dicembre 2018 il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione che chiede ai paesi UE di annullare la costruzione del gasdotto. Quasi in contemporanea, il Dipartimento di Stato americano ha esortato l’Europa a bloccare il progetto. Tuttavia il progetto non è per ora incluso nella lista delle sanzioni americane contro la Russia, nonostante varie mozioni presentate da  deputati e senatori americani per chiedere il boicottaggio dell’opera.


NS2 rafforza la Russia

Con il completamento di NS2  il gas non dovrebbe più transitare attraverso l’Ucraina per raggiungere l’Europa. Kiev verrebbe tagliata fuori da un traffico redditizio che frutta circa due miliardi di dollari l’anno in diritti di transito e perderebbe il suo potere contrattuale.  Ne sarebbe rafforzata la posizione della Russia, non solo economicamente (minori costi di trasporto) ma anche strategicamente (pieno controllo dei flussi). La questione è stata resa ancora più spinosa dallo scoppio della crisi ucraina.  


L’Europa divisa sul nuovo gasdotto

La posizione dei paesi europei è tutt’altro che univoca. Il ministro dell’Economia tedesco, Sigmar Gabriel, ha recentemente sostenuto che NS2 è “nell’interesse del suo paese” e che sulle procedure per la realizzazione non dovranno esserci “interferenze politiche”. La Finlandia ha da poco dato il via libera, mentre la Danimarca sta negoziando un percorso alternativo.


La crisi del gas spinge alla ricerca di maggiore diversificazione

Due eventi hanno impresso una forte spinta alla ricerca di fornitori alternativi a Mosca: le crisi del gas che nel 2006 e nel 2009 coinvolsero Russia ed Ucraina. In queste occasioni Gazprom sospese le esportazioni verso l’Ucraina, a seguito di una severa disputa commerciale e legale riguardante pagamenti e forniture. Vi furono  conseguenze in numerosi paesi UE. L’Ucraina era all’epoca il principale paese di transito per i gasdotti russi. Le due crisi, benchè durate pochi giorni, contribuirono a rafforzare l’idea della Russia (e anche della stessa Ucraina) quale partner energetico potenzialmente problematico, da cui sarebbe stato opportuno gradualmente allontanarsi.


Tap può realmente ridurre la dipendenza energetica dalla Russia?

L’obiettivo di ridurre la dipendenza dalla Russia spiega l’interesse della UE verso il progetto  SGC.  Se questo sarà in grado di migliorare effettivamente la sicurezza energetica europea, è argomento di dibattito. Da un lato rappresenta un asset strategico importante per alcuni paesi del sud-est Europa. Dall’altro l’impatto sul mercato comunitario  dovrebbe essere complessivamente limitato. A partire dal 2020/2021, in Europa dovrebbero arrivare via SGC circa 10 miliardi mc (bcm) di gas naturale, pari al 2,5% delle importazioni odierne (408 bmc/anno). Anche l’impatto per l’Italia risulterebbe piuttosto modesto, sia in termini di quantità di gas sia da un punto di vista strategico.


Il grande problema delle grandi opere

Il TAP pare scontare un problema — se non il problema — tipico delle “grandi opere”. Un problema comune peraltro alla TAV.  Quello di essere così grandi — ovvero di inserirsi in un contesto macroeconomico e macropolitico così ampio — da risultare difficilmente comprensibili all’opinione pubblica (italiana, in questo caso), che di vantaggi nel quotidiano rischia di non vederne. Anche quando non prevedono l’esborso di fondi pubblici (come nel caso del TAP) opere di questa portata  si prestano a essere sacrificate sull’altare delle promesse elettorali, rendendo il loro completamento incerto al di là del loro valore strategico. Soprattutto se la politica è incapace di guardare oltre la propria cinta daziaria.

Luca Pignatelli: Luca Pignatelli | Da quasi trent'anni mi occupo di ricerca economica presso l'ufficio studi dell'unione industriale di torino. in particolare mi sono occupato di indagini statistiche, macroeconomia, economia industriale, speech writing; da alcuni anni coordino la redazione di pubblicazioni economiche per le imprese associate. I miei studi universitari e la mia esperienza di lavoro in Africa con UNDP mi hanno orientato verso le tematiche economiche e geopolitiche internazionali.
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