La “Cultura aziendale” può sembrare una definizione sfuggente. Una astrazione di concetti più concreti e quantificabili come “obiettivi”, “risultati”, “organizzazione”, “regole”, “strategie”. Si potrebbe addirittura pensare che NON esista una “ cultura aziendale”, distinta da quella delle persone che lavorano in azienda: imprenditori, proprietari, manager, staff. Ma la cultura aziendale esiste eccome, che se ne sia consapevoli o meno. E influisce in modo determinante sulla immagine aziendale, sul posizionamento di mercato, sulla percezione dei clienti. In una parola, influisce sul successo di una azienda.
Cultura Aziendale | Ogni azienda ha una SUA cultura, espressa o inespressa. Una sua “carta dei valori” che ne guida l’azione, impronta le relazioni interpersonali , definisce le comunicazioni con clienti e stakeholders, la grafica della campagna pubblicitaria, l’aspetto e i contenuti del sito Internet, perfino il modo di rispondere al telefono o alle mail. Del resto, non appena si entra in una azienda, ci si guarda intorno, si parla con le persone che vi lavorano, si percepisce immediatamente quale sia la “personalità” dell’azienda , il “clima”, lo “stile”. La “cultura aziendale” esiste eccome!
Cultura non è sinonimo di strategia
La “cultura aziendale” è cosa molto diversa dalla “strategia”. Anzi il disallineamento tra “strategia” e “cultura” è una delle più frequenti cause del fallimento di una strategia, anche se ben costruita. L’armonia tra cultura, strategie, organizzazione determina il successo o l’insuccesso di una azienda, soprattutto quando occorre effettuare un cambiamento di strategia per il mutare delle condizioni concorrenziali, oppure a seguito di una acquisizione, o di investimento all’estero, o dell’ingresso di nuovi soci o nuovi manager. Un classico adagio recita “la cultura si mangia la strategia a colazione”. Una cultura aziendale che ha funzionato molto bene in un certo contesto può diventare inadatta quando il contesto cambia, oppure quando l’azienda decide un cambiamento nel suo business model.
L’analisi di Harvard Business Review
La rivista Harvard Business Review – punto di riferimento della cultura manageriale – ha dedicato il numero di febbraio 2018 al tema della cultura aziendale, riportando i risultati di anni di studi. Vengono presentati i risultati di una ampia ricerca condotta a livello mondiale su 230 corporations di settori diversi (manifatturiero, servizi, finanza, no profit), condotto tramite interviste a 1.300 CEO e top executives e oltre 25.000 questionari inviati a manager e dipendenti.
Qual’è la cultura della mia azienda?
Occorre anzi tutto interrogarsi su quale sia la propria cultura aziendale. HBR ha predisposto un questionario per valutare come opera la propria organizzazione, come si comportano le persone, cosa le unisce e crea conflitti, quali sono i valori condivisi. Non si tratta di un esercizio accademico. Avere ben chiaro quale sia la propria cultura, darne una definizione più coerente, è propedeutico a ogni decisione strategica. Una chiara visione culturale è necessaria per definire assetto organizzativo, assunzioni, turnover (soprattutto nelle posizioni di vertice), politiche salariali (incentivi, carriere), regole di azione e comportamento, perfino i “rituali”aziendali”.
Risposta al cambiamento e interazioni personali
La ricerca di Harvard propone una classificazione della cultura aziendale secondo due assi fondamentali:
- Risposta al cambiamento: lungo i due poli opposti di “flessibilità” e “stabilità”. Vi sono organizzazioni che attribuiscono la massima importanza alla rapidità e adattabilità al cambiamento; altre invece privilegiano la prevedibilità, la stabilità, il “seguire le regole”, il controllo, la certezza;
- Interazioni tra le persone: i due poli sono “indipendenza” e “interdipendenza”. Una cultura aziendale orientata verso la “indipendenza” valorizzerà autonomia, competizione interpersonale, iniziative individuali. Chi privilegia invece la “interdipendenza” sarà molto attento a garantire integrazione, lavoro di gruppo, coordinamento, armonia, accordo, ecc.
Otto modelli di cultura aziendale
La dialettica di questi due parametri definisce 8 diversi “stili” culturali che caratterizzano le aziende e i leader.
- Caring: un modello che dà la massima importanza a relazioni interpersonali, fiducia reciproca, lealtà, impegno, comunicazione; enfasi su lavoro di gruppo, senso di appartenenza, fedeltà. La Disney ne è un ottimo esempio.
- Purpose: si fonda sulla consapevolezza che l’azienda abbia una “missione” più ampia che trascende gli specifici obiettivi d’impresa; al centro stanno valori come idealismo, responsabilità, altruismo, la massima enfasi viene posta agli ideali condivisi e al “dare un contributo a una causa più grande”. Esempio Whole Foods.
- Learning: aziende caratterizzate da una “esplorazione” costante dei trend tecnologici e di mercato, dalla ricerca dell’apprendimento continuo, da flessibilità, curiosità, indipendenza. Esempio tipico Tesla.
- Enjoyment: enfasi su spontaneità, senso dell’ironia. Il luogo di lavoro deve essere anche luogo di soddisfazione personale, di “divertimento”; il morale del personale deve sempre essere alto. Esempio Zappos.
- Results: enfasi su “raggiungere gli obiettivi”, “vincere”. Stile molto meritocratico, le persone aspirano a essere i migliori, ad avere successo personale. Esempio GSK.
- Autorità: cultura improntata a forza, determinazione, coraggio. “Forte desiderio di vincere, nessuna paura di perdere”; “avere lo spirito dei lupi che lottano contro un leone”. Ambiente di lavoro molto competitivo, si cerca il guadagno personale; molto controllo e gerarchia. Esempio Huawei.
- Safety: enfasi su “attenta pianificazione” delle azioni, “capacità di anticipare eventi”; valori premianti sono competenza, realismo, capacità di valutare i rischi. Esempio Sec Order.
- Ordine: focus su rispetto, struttura, norme condivise; valori fondanti sono tradizione, cooperazione. Esempio Lloyd’s of London.
Coerenza e allineamento
La specifica cultura aziendale risulterà dalla combinazione di questi otto archetipi: in alcuni casi sinergici, ma in altri inevitabilmente conflittuali. Ad esempio la contemporanea enfatizzazione di “caring” e “results” può indurre confusione; se il focus è sul cambiamento e il “learning” la combinazione di “caring” e “order” può irrigidire e rallentare.
All’interno della medesima organizzazione possono coesistere stili diversi (ad esempio se i top manager o i proprietari non sono in accordo) e questo genera conflitto, insoddisfazione, incertezza, demotivazione, in ultimo peggiora i risultati aziendali. I leader devono essere coerenti e definire le priorità: in alcuni casi sarà necessario fare delle scelte strategiche e organizzative radicali. E’ importante allineare la cultura aziendale con i valori personali e le aspettative dei dipendenti, anche attraverso training, incontri motivazionali, meeting di gruppo, ecc. Le assunzioni devono riflettere le competenze ma anche la più o meno facile integrazione nella cultura aziendale.
Conclusioni: la cultura conta eccome
Riflettere sulla cultura aziendale non è esercizio riservato alle grandi corporation. Al contrario, per una piccola o media azienda può essere ancora più importante, soprattutto quando il successo dipende dalla perfetta collaborazione tra tutti i collaboratori. Le attitudini delle persone possono fare il successo o la rovina di ogni business.
Spendere un po’ di tempo per riflettere sulla propria “cultura”, per valutare se è allineata con le strategie e con le aspettative dei collaboratori è senza dubbio un buon investimento, che potrebbe dare risultati insperati e vantaggi molto concreti.
Gli strumenti ci sono: dal supporto di specialisti quali gli executive coach alla consulenza organizzativa alla agli eventi aziendali di team building, alla comunicazione (verso clienti, risorse umane, mercato del lavoro, ecc.), formazione manageriale e dei dipendenti (corsi di leadership e followership, sulle dinamiche di gruppo, ecc.).
In tutti i campi Unione Industriale e Skillab possono dare un valido supporto alle aziende.